Il Racconto della Domenica: C’era una volta Natale
di Maria Pagano*
Caro mondo troppo veloce, mi presento: mi chiamo Natale, sono nato a Roma il 25 Dicembre verso la metà del IV secolo d.C. Non mi peso mai, mi piace ridere e far sorridere, non sono solo una festa, sono molto di più: sono lo specchio umano che riflette ed evidenzia le ingiustizie, sono la gomma temporanea che cancella le guerre, l’abbraccio che accoglie, il sole invernale che liquefa l’apocalisse. Ultimamente mi accade sempre più spesso di esser triste perché gli adulti hanno smesso di credere in me…
Dove e cosa ho sbagliato? Sono Natale stanco. Sono il cane bianco che ti guarda. Sono la voce gentile che cammina sotto l’ombrello, la fiamma gigante dei pensieri nascosti. Sono la sigaretta del padre apprensivo. Sono la lettera mai spedita. Sono mani che chiedono carità. Appartengo a tutti. Sono ignorato, sfruttato, incompreso, ma i bambini mi amano sempre, mi amano ancora.
Ogni anno, puntualmente, in tutte le lingue del mondo sento sempre le stesse frasi: “Natale è morto”, “Ai miei tempi era un’altra cosa”, “Natale è consumismo”, “Devo fare i regali”, “Purtroppo mi tocca passare il Natale con i miei suoceri”.
Tante volte ho pensato di licenziarmi, di fare un salto da Gesù e dirgli: Amico mio che senso ha continuare a nascere se nessuno ci pensa”? Poi immediatamente mi pento, vorrei urlare ma mi trattengo, ci vuole pazienza, ho tanta pazienza. Rinunciare adesso a credere sarebbe un grave errore. Ci sono troppe guerre, troppi bambini senza niente, troppa morte. Se adesso anch’io abbandonassi Gesù Bambino il buio invaderebbe la Terra, ogni cosa diverrebbe insostenibile, per questo resto.
La mia missione è seminare la magia eterna del mistero, pertanto distratti adulti smettetela di agitarvi, di stressarvi, lasciatevi accarezzare dalla poesia del Natale tornare per un giorno bambini vi farà solo bene, potenzierà la luce del tetto mondiale. Natale è per eccellenza il cardio rosso che sgorga sorrisi, il faro che rende visibili gli invisibili. Ai razionali incalliti e smarriti, all’intelligenza artificiale con tutto il fiato dico: Natale non è morto e mai perirà, le belle cose restano eterne per sempre. Lo sottoscrivo, lo confermo e riconfermo. Natale è importante, è necessario, è il pozzo della ripartenza umana, la voce della pace mondiale. Questa festa non si può spiegare, questa letizia si può solo raccontare, ogni racconto è prezioso, unico…
C’era una volta una bambina di nome Maria, come allora fermamente crede in me. Con la pioggia, il vento o la neve mi attende, la conobbi nel millenovecentosessantacinque a Salerno, una ridente cittadina della Campania, con la sua splendida famiglia viveva in un incantevole borgo dove il cielo, dal primo Dicembre, si dava un gran da fare mutando con l’ausilio del vento le nuvole. Capelli irti avevano le colline a tratti illuminate da una luna invernale umida e seria.
Dopo il ponte la terra solcata dai passi stanchi dei contadini rassegnata si modellava. Quella creatura non si stancava mai di cercarmi, per me, sul quaderno per ore si esercitava a scrivere parole belle che la vigilia lasciava accanto al camino insieme a due mandarini (le ho conservate tutte le sue parole). Lei non ha mi smesso di credere in me neppure quando la vita l’ha presa a schiaffi. Mi aspettava ovunque anche accanto al lampione spento dell’ospedale. Tutto appariva e spariva. Essere felici a Natale per lei era quasi un dovere, nessuno poteva tirarsi indietro.
Nella letterina non chiedeva mai nulla, aveva già tutto, una famiglia che l’amava e la campagna dove si divertiva più che al luna-park. Mi sembra ieri quando ogni giorno, dopo i “doveri” insieme a Billy il suo amato cane tra i limoneti e gli aranceti umidi di pioggia correva, o quando tra le zolle giganti di un tramonto arancio che le colorava i capelli lei sognava mentre l’aria gelida senza volto, arruffandole i capelli nello spazio largo del maglioncino si nascondeva.
La fanciulla aveva le gote rosse come le mele annurche e gli occhi verdi come il muschio utilizzato con maestria dai fratelli quando preparavano il presepe. I bambini del borgo erano speciali, sapevano giocare senza giochi, sapevano quando parlare e quando stare zitti, da un punto bianchissimo dell’Universo con gioia li osservavo, erano ingegnosi, altruisti, fantasiosi, coloravano per ore. Loro erano ” I bambini di una volta”.
Tutti i bambini diverranno “quelli di una volta”, ci saranno sempre “i bambini di una volta”. Loro erano quelli che andavano a letto dopo carosello, quelli che mangiavano pane, sale e olio, quelli che in chiesa erano fermi come le statue nelle nicchie, loro erano quelli che sotto il piatto nascondevano la letterina di Natale con i brillantini che si appiccicavano dappertutto, persino sulla barba lunga del nonno.
Loro erano quelli che quando venivano puniti si nascondevano sugli alberi, come Cosimo di Calvino, – non sapevano ancora chi fosse ma inconsapevolmente lo imitavano- assaggiando l’ebrezza dell’altezza, l’adrenalina della libertà, la rabbia per l’ingiustizia subita.
La piccola, durante le festività, per sua madre che amava sopra ogni cosa, con la bici raggiungeva la sorgente dell’acqua dove crescevano piccolissimi fiori, non profumavano tanto, ma avevano un aspetto vispo e gentile, dopo averli raccolti con un filo d’erba li legava. A quei tempi, durante le festività natalizie tutte le case emanavano odori di cibi identici (Ragù, minestra, zeppole, baccalà) mentre sopra i balconi rassegnati svettavano i meloni nelle reti. Luci con e senza geometria illuminavano i tempi allegri e le ancestrali malinconie delle esistenze.
Il mondo era fermo, eppure camminava, ognuno aveva un ruolo preciso, sia in casa che per strada. Davanti alla fontana protetta dagli ulivi i nonni della seconda guerra mondiale dopo i lauti pranzi giocavano a bocce. Profili seri, camicie bianche ben stirate, grazia sottile e mani ruvide, i bambini si sentivano protetti, fortunati. Adesso come allora in qualche casa si litiga. Adesso come allora i bambini leggono la letterina, non importa se dal tablet o dal telefonino. Adesso come allora i bambini sono la mia magia.
*poetessa, scrittrice
