Le note della chitarra più forti delle bombe”: Antonio Onorato e il suo messaggio di pace

di Maria Gabriella Alfano-

L’ Auditorium San Giovanni di Cava de’ Tirreni ha accolto  mercoledì 11 dicembre il celebre chitarrista e compositore Antonio Onorato. L’evento è inserito nella rassegna organizzata da Associazione L’Iride e Le Stanze dell’Arte.

Onorato è uno dei musicisti e compositori italiani più eclettici e innovativi. Nato a Napoli nel 1964, ha costruito la sua carriera fondendo tradizioni musicali apparentemente distanti, come il jazz, la world music e la musica napoletana. E’ celebre per il suo talento come chitarrista, ma anche per il suo approccio sperimentale che lo ha portato a utilizzare strumenti non convenzionali come la breath guitar, la chitarra a fiato, che unisce modernità e tradizione.

I brani musicali eseguiti con due diverse chitarre hanno accompagnato il pubblico in un viaggio sonoro fatto di contaminazioni  culturali, sperimentazioni musicali e profonde suggestioni emotive, grazie a melodie suggestive e arrangiamenti sofisticati, confermando il suo talento come interprete della contemporaneità musicale. Nel corso della sua performance in cui ha fatto un excursus sulla sua storia artistica raccontando con grande generosità episodi della sua vita, ha presentato alcuni brani di “Corte del Remer”, il suo ultimo disco. Ha concluso con un’emozionante, insolita  “Tammurriata nera” in una versione strumentale in cui la chitarra “cantante”  ha esaltato gli spettatori, riportandoli a ritmi ancestrali. Difficilmente la dimenticheremo.

Olga Marciano mentre consegna la sua opera ad Antonio Onorato

Al termine della performance la pittrice Olga Marciano ha consegnato ad Antonio Onorato il premio Le Stanze dell’Arte, una bellissima opera pittorica da lei creata, che sintetizza momenti importanti della vita e del pensiero del musicista.

Onorato ha stimolato importanti  riflessioni su temi cruciali della contemporaneità e sulla filosofia artistica che anima ogni sua creazione di cui abbiamo parlato nell’intervista.

Ci incontriamo per la prima volta, ma in modo del tutto spontaneo, ci diamo del “tu”.

Maestro, sei nato a Napoli, una città che ha una lunga tradizione musicale ed è un miscuglio delle civiltà che l’hanno abitata nel corso dei tremila anni della sua storia.  Quanto le tue radici napoletane hanno influenzato il  tuo percorso artistico?

Moltissimo. Il mio percorso esprime ciò che sono realmente. Parto sempre dalle mie radici: sono nato a Torre del Greco per cui più che napoletano mi sento un “vesuviano”. Allo stesso tempo sono aperto verso ciò che è “fuori”.

Com’è il rapporto con gli altri musicisti napoletani? Penso a Pino Daniele con cui hai condiviso il palco e ad altri  che come te hanno contribuito a consolidare il legame tra  jazz e tradizione partenopea….

Con i musicisti napoletani c’è sempre stata intesa. Immediata. Pino Daniele era più grande di età  rispetto a me, è stato un punto di riferimento e mi ha sempre incoraggiato ad essere quello che sono. Poi Tony Esposito e altri jazzisti napoletani come Aldo Farias. Noi abbiamo le stesse radici, lo stesso background anche se ciascuno ha preso la propria strada e si  esprime a modo suo.

Hai collaborato con artisti provenienti da culture e generi diversi, come la leggenda del flamenco Paco De Lucia o  musicisti africani e sudamericani. Tutto ciò ha influito sul tuo modo di suonare?

E’ vero, ho suonato con musicisti di altri Paesi tra cui Paco De Lucia, Toninho Orta,  Pat Metheny e tanti altri, ma sono sempre partito dalle mie radici e rimanendo me stesso. Ad esempio, non ho copiato i jazzisti americani quando suonavo il jazz. In questo senso la diversità è importante. Non amo l’omologazione. Io suono un genere che mi piace definire “neapolitan jazz”.

Hai viaggiato in tutto il mondo in Africa, in Sud America, in India e in tanti altri luoghi. Come ti poni rispetto ad altre culture e in quale misura influiscono sul tuo percorso artistico?

Quando vado in giro, cerco di  essere una spugna. Cerco di assorbire le culture e instaurare un rapporto paritetico con i musicisti del luogo. Da loro ho imparato tantissimo e ho arricchito il mio percorso musicale.

La tua passione per la sperimentazione musicale si accompagna a una profonda riflessione sulla spiritualità e sulle connessioni tra culture ed etnie diverse.  In un Mondo in cui  prevalgono sempre più le divisioni, quanto è importante la musica per favorire il dialogo e l’integrazione?

La musica è molto importante, è un linguaggio universale e la capiamo tutti allo stesso modo. Le vibrazioni della musica arrivano in egual modo sia a chi vive in Africa sia a chi vive in Norvegia.

Ricordo sempre una frase di Santana che seguo anche come entità spirituale. Ebbene, quando scoppiò la guerra in Iraq  e gli americani bombardavano la capitale irachena, lui disse “Le note della mia chitarra alla lunga saranno più forti delle bombe che Bush lancia su Bagdad”. Naturalmente lui si riferiva alla  potenza del suono della chitarra.

Un messaggio di pace…

Gli artisti devono schierarsi sempre per la pace  e in questo momento ce n’è ancora più bisogno perché se continuiamo a chiudere gli occhi, presto finiremo per trovare la guerra fuori della nostra porta.

Ci sono tante guerre nel mondo, non solo quelle di cui si parla sempre. Ce ne sono altre, come quelle in Africa, di cui non si parla. Sono convinto che finché ci sarà anche una  sola guerra, ovunque essa sia, ci arriveranno vibrazioni negative. La Terra per me è come un corpo  umano in cui se mi fa male il piede ne risente tutto il mio organismo. Penso che accada la stessa cosa anche per altre violenze tra cui quelle contro l’ambiente naturale come la  distruzione della Foresta Amazzonica. Insomma dobbiamo avere cura dell’intero Pianeta.

Mi incuriosisce molto la Breath guitar. Com’è nata? C’era qualche altra sonorità che volevi aggiungere alle tue composizioni?

Fin da piccolo mi sono appassionato alla filosofia di vita dei Nativi Americani.

Mi mostra il  cappello che indossa e prosegue:

Questo cappello non l’ho comprato sulle bancarelle (ridacchia). Viene dalle riserve indiane dei Dakota, negli Stati Uniti.  Adoro la loro filosofia, mi piace il loro modus vivendi, la loro spiritualità che li porta a dare un’anima a tutto anche ai sassi. Ho sempre sognato di suonare tamburo e flauto, i loro strumenti musicali che sono i primi che l’uomo ha suonato. La breath guitar  ha un breath controller, un’imboccatura simile a quella degli strumenti a fiato, collegata alla chitarra,  in cui si soffia ottenendo nuove sonorità. Usandola  ho coronato il mio sogno di suonare il flauto dei nativi americani, naturalmente alla mia maniera. E mi si è aperto un mondo di sonorità pazzesche.

Oltre alla breath guitar e alle due che hai portato con te stasera, quante chitarre hai?

Ho perso il conto, ne avrò trenta o quaranta, mi risponde sorridendo. Di fronte alla mia meraviglia aggiunge: c’è chi ha la passione per le auto, io  ho  quella per le chitarre. Ne comprerei una al giorno.

Veniamo all’ultimo disco presentato stasera. Che cosa significa Corte del Remer? C’è una storia particolare dietro questa scelta?

Ho una compagna veneziana, Anna. Vivo, quindi,  tra Napoli e Venezia. Abbiamo abitato a Corte del Remer che è un sestiere della Città che si affaccia sul Canal Grande. Lì ho scritto questi brani.

Qual è il filo conduttore che unisce i brani di questo album?

Il filo conduttore è la bellezza. Venezia è un luogo di grande valore estetico che percepisci ogni volta che ti guardi intorno.

Stai già pensando a nuovi progetti?

C’è un altro album di sola chitarra acustica che uscirà in questo mese. Il titolo è “Alone but never alone”. Perché quando suoni la chitarra o ti esprimi attraverso l’arte, anche se sei solo, non sei mai solo.

Dove possiamo ascoltarti di nuovo?

In Campania, il  prossimo 10 gennaio, sarò al Teatro Trianon di Napoli.

Ho concluso l’intervista a malincuore. Avrei proseguito a parlare con Antonio Onorato. In lui, oltre all’artista di fama internazionale che si è esibito nei più prestigiosi festival di jazz nel Mondo, ho scoperto un’umanità, una saggezza e una profondità di pensiero non comuni.

 

 

 

Maria Gabriella Alfano Maria Gabriella Alfano

Maria Gabriella Alfano

Architetto con specializzazione in pianificazione urbanistica, giornalista. Ha lavorato per molti anni nel settore pubblico occupandosi di piani, progetti e opere strategiche. E' stata presidente dell' Ordine degli Architetti di Salerno, direttore del trimestrale progetto "Progetto". Commissaria delle Riserve Naturali Foce Sale Tanagro e Monti Eremita Marzano e componente del Consiglio direttivo di Federparchi. E' presidente dell' Associazione Culturale L'IRIDE di Cava de' Tirreni. Viaggia spesso in tutto il mondo. Sposata, due figli, vive con il marito Pietro e due gatti.

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