Una società malata

di Michele Bartolo-

Il recente suicidio di un quindicenne a Senigallia ha riportato al centro dell’attenzione il problema del bullismo scolastico e la necessità di un intervento strutturale e stabile.

Il ragazzo, vittima di bullismo, ha utilizzato l’arma del padre per togliersi la vita, un gesto che denuncia l’incapacità del sistema di proteggere chi si trova in situazioni di particolare fragilità.

Aveva quindici anni anche Andrea Spezzacatena, che il 20 novembre 2012 mise fine con la stessa modalità alla sua esistenza, primo caso in Italia di bullismo e cyberbullismo. L’incidente scatenante fu l’aver voluto indossare dei pantaloni rossi, regalo della madre, che a causa di un lavaggio sbagliato erano diventati rosa. Oggi il film che racconta la sua triste storia è proiettato nelle sale cinematografiche italiane.

Di alcuni giorni fa è la storia di un tredicenne che in provincia di Napoli è stato accoltellato mentre giocava a calcio con altri amici: si sarebbe rifiutato di consegnare il pallone al giovanissimo aggressore di dieci anni che, in risposta, gli avrebbe conficcato  un coltellino nella coscia.

Un altro gravissimo episodio è accaduto ieri all’interno di una scuola elementare di Bolzano. Una bambina di 8 anni è stata presa a calci e pugni da tre compagne di classe durante la ricreazione. La bambina ha perso sangue ed è stata trasportata in ospedale: il referto medico parla di lesioni in varie parti del corpo. Venti giorni di prognosi.

Il mese scorso il  professor Claudio Romeo, docente di scienze, è stato aggredito dal padre di una studentessa. Il giorno precedente, durante un colloquio scuola-famiglia, il docente aveva informato la madre dell’alunna riguardo alle sue difficoltà scolastiche. Ancora, il professore Rocco Latrecchiana, 48 anni, al suo primo giorno di insegnamento, è stato aggredito da uno studente di 16 anni. L’aggressione ha avuto conseguenze significative: il docente ha ricevuto 21 giorni di prognosi e ha espresso dubbi sul proseguimento della carriera nell’insegnamento, citando difficoltà nel gestire l’arroganza e la mancanza di rispetto sempre più frequenti tra gli studenti.

A Castellammare di Stabia, una trentina di genitori inferociti hanno aggredito una professoressa che ha riportato un trauma cranico.

Un altro caso si è verificato a Varese, dove una docente è stata accoltellata da uno studente di 17 anni, che ha sferrato tre fendenti alle spalle dell’insegnante, uno dei quali è arrivato a lesionare un polmone, fortunatamente deviato da una vertebra.

Infine, la dirigente scolastica del comprensivo Maiore di Noto è stata aggredita da  uno studente 14enne, “infastidito” per un rimprovero dovuto alle sue condotte moleste. Nonostante la giovane età, il ragazzo, dotato di una corporatura imponente, l’avrebbe utilizzata  per spintonare la preside alle spalle e farla rovinare in terra. La donna ha riportato un trauma cranico ed una dolorosa lussazione della spalla.

Un elenco infinito, storie che si ripetono quotidianamente e che stanno diventando quasi ordinarie, nel senso che non destano più scalpore o riprovazione. Certamente esse sono lo specchio della società in cui stiamo vivendo, anche se, ogni volta che accadono, si ripetono stancamente i soliti rituali della condanna, dell’auspicio di una rivoluzione culturale, dell’esigenza di un intervento severo e deciso delle Istituzioni, della necessità che nelle scuole si adottino misure di vigilanza e di sicurezza.

Inoltre, si reclama un sistema efficiente di prevenzione e di punizione dei reati minorili, richiamando il legislatore sulla opportunità di emanare nuove e più stringenti norme in materia. Tutto sommato né più né meno di quello che avviene sul tema, anch’esso di stretta attualità, dei femminicidi e della loro capillare diffusione. Invero, bisognerebbe riflettere sul fatto che ciò che accade è il frutto di una società malata alle radici e che questi comportamenti criminali non possono debellarsi solo con l’intervento dello Stato, della scuola o delle Istituzioni.

Ciò che manca è l’educazione, il rispetto del diverso, la gerarchia dei ruoli, la consapevolezza del ruolo della donna, la spensieratezza nel vivere la propria età, sia essa infanzia o adolescenza. L’indiscriminato accesso ai social ed alle realtà virtuali, l’uso continuo di telefoni cellulari e tablet, la sostituzione delle chat ed altri sistemi di messaggistica rispetto al dialogo, al confronto, alla conversazione, al gioco hanno di fatto regredire e non progredire la nostra società.

Ciò che poteva essere una grande opportunità si è rivelata la condanna delle giovani generazioni, che hanno perso la sensibilità, la capacità di emozionarsi e di riflettere, di distinguere ciò che è bene da ciò che è male, in una parola la propria umanità. Come si può sperare di invertire la rotta? Serve recuperare la propria identità, soprattutto il valore fondamentale dell’educazione e dell’esempio della famiglia, prima culla della crescita di ogni essere umano e prima responsabile della sua fortuna o del suo fallimento. Non a caso viviamo un’epoca in cui genitori e figli si collocano entrambi dalla parte sbagliata, come ci ricordano gli episodi sopra elencati. Senza la consapevolezza di questo, nessun intervento dall’esterno potrà mai risanare una società malata nel suo profondo.

 

Michele Bartolo

Avvocato civilista dall'anno 2000, con patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 2013, ha svolto anche incarichi di curatore fallimentare, custode giudiziario, difensore di curatele e di società a partecipazione pubblica. Interessato al cinema, al teatro ed alla politica, è appassionato di viaggi e fotografia. Ama guardare il mondo con la lente dell'ironia perché, come diceva Chaplin, la vita è una commedia per quelli che pensano.

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