‘A pazziella mmane ‘e criature
di Giuseppe Moesch
Questa felice espressione napoletana, divenuta nota anche oltre i confini regionali, declinata in vernacolo con termini assai più efficaci ma non adatti a questa mia riflessione, evidenzia come sia assolutamente incomprensibile immaginare di poter affidare a mani poco esperte, una pazziella, un giocattolo, oggetto considerato invece di pregio per molti e presentato come semplice giocattolo, al quale invece si attribuisce per gli estimatori un grande valore, che ovviamente potrebbe deteriorarsi e comunque non venire valorizzato come dovrebbe.
Scorrendo i giornali o i servizi televisivi, assistiamo attoniti alla saccenti disquisizioni di opinion leader che, ritenendosi esperti di politica estera, discettano sui casi delle guerre in corso.
Se queste parole fossero lasciate alle ali del vento e non sfiorassero le orecchie di chi non è aduso a comprendere quei fenomeni, non varrebbe neanche parlarne; tuttavia quelle parole cantate sulle note delle canzoni propagandistiche dei dante causa di quei signori, acquistano il sapore della verità incontrovertibile.
Quei cattivoni degli Israeliani, che si ostinano a non voler essere cancellati come Nazione prima ancora che come popolo, continuano a far piangere tutte le mamme per le vittime innocenti sterminate da quei feroci assassini, che adesso addirittura sparano sui valorosi militari che garantiscono la sicurezza al confine tra il Libano ed Israele.
Ho avuto modo di vivere esperienze in zone di guerra e conosco l’impegno fino al sacrificio della vita, in alcuni casi per la stupidità di capi inetti, vedi Nassirya, e non posso non esprimere tutta la mia solidarietà ed orgogliosa partecipazione alle loro azioni. Non posso però fare a meno di sottolineare alcune notazioni a margine.
Dal 19 marzo 1978, rinnovata annualmente come forza di interposizione con il compito di confermare 1) il ritiro di Israele dal Sud del Libano, 2) restaurare la pace e la sicurezza e 3) supportare il governo libanese nel ristabilire la sua autorità nell’area, l’UNIFIL con oltre diecimila militari ed un migliaio di civili, al cui interno i militari italiani della Brigata Sassari, sono intorno ai mille duecento, secondo gruppo per numerosità rispetto al totale, localizzate nelle basi principali a Shama (nella base chiamata “Leonte 2”), a Mayoun (nella base “Leonte 1”) e nel quartier generale del Sector West di Shama.
Lo scopo non era quello di fare la guerra a nessuno, ma di evitare che la condizione di tensione derivanti dalle organizzazioni terroristiche armate dall’Iran, potessero far saltare il fragile equilibrio raggiunto.
La cosa stupefacente è che, se nel mio quartiere giunge un gruppo di operai più numeroso di due, tutti guardano interessati cosa stia avvenendo, mentre se i lavori si prolungano nel tempo e se il numero degli operai si incrementa, lo scambio di informazione tra gli abitanti del quartiere si infittisce, se non altro per la normale curiosità umana.
Quello che gli esperti di politica estera ci stanno raccontando oggi è che nessuno degli oltre undicimila uomini che circolavano per le strade uscendo dalla base con i candidi mezzi blindati con la scritta ONU, ha mai notato che, lungo il perimetro del campo e nelle zone circostanti, si stavano costruendo, come a Gaza, una miriade di tunnel, riforniti di armi, non pistole scacciacani, ma missili di lunga gittata, alcuni nascosti addirittura all’interno di appartamenti, mentre l’intelligence israeliana, ne era a conoscenza tanto da essere in grado di bombardare a colpo sicuro i depositi esistenti.
Nostro compito ovviamente dovrà essere quello di facilitare l’istituzione di una sorta di premio alla discrezione per non esserci interessati di cosa accadeva nella zona controllata dalle nostre truppe.
Sono altresì certo che sapremo encomiare i responsabili dell’ONU, che oltre a non sentire la necessità di esprimere con chiarezza la propria posizione rispetto al ruolo dell’Iran e dei gruppi terroristici che lo fiancheggiano, non ha ritenuto di organizzare almeno un gruppo di scout indigeni nativi americani, che orecchie a terra avrebbero potuto scoprire non treni in arrivo ma colpi di piccone, o forse martelli pneumatici ed esplosivi per realizzare quelle importanti infrastrutture di trasporto e di collegamento nella zona sicura tra i confini di Israele ed il fiume Litani.
La discrezione è una virtù importante e nella diplomazia internazionale, è addirittura d’obbligo, ma almeno ci facciano sapere perché abbiamo mantenuto per ventisei anni una struttura inutile.
Non possiamo meravigliarci se oggi quei cattivoni, nel perseguire con ostinazione il loro diritto alla sopravvivenza, tentino di smantellare le strutture destinate al proprio annientamento, e perché hanno sentito di avvertire delle proprie decisioni di intervenire in quell’area fornitrice di scudi umani, individuata già tante volte come base dei terroristi di Hamas, o di Hezbollah.
L’attacco, sicuramente volontario, ha inteso dire ai Paesi amici che non c’era voglia di fare del male, ma semplicemente la notifica della decisione faremo da soli, ma cercate di non farvi male mentre cerchiamo di sopravvivere.
In tempo di guerra per la sopravvivenza non c’è posto per l’ipocrisia.
*già professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno