Luci ed ombre, passione e desiderio, morte e sacrilegio ai piedi del Tempio di Nettuno, lo scenario suggestivo di Paestum ritorna al mito e alle origini con uno spettacolo quintessenza della sua grandezza, a cura dell’Accademia Magna Graecia: “Medeae… da Euripide in poi”.
Si riconferma per la XIV edizione della rassegna teatrale estiva una Medea libera e orgogliosa, protagonista di un mito che non si esaurisce ma si fa presente, frutto del riadattamento e della regia di Sarah Falanga.
È lei stessa a parlarci di Medea e del teatro di cui ha sposato un sapere magistrale, portandola ad esperienze e ruoli indelebili come quello di Zia Luciana per la regia teatrale di Ozpetek in “Mine Vaganti”, o per il ruolo costante sin dalla prima stagione nei panni di Maria Carracci ne L’Amica Geniale a cura di Saverio Costanzo, in arrivo questo novembre in Italia dopo il debutto in America. Un percorso il suo che comincia dal lontano 2000 con una formazione a New York, per poi vederla impegnata nell’Accademia Nazionale Silvio D’Amico a Roma, e ancora per un Masterclass che la impegnerà fra i grandi nomi italiani come Andrea Camilleri, Ferzan Ozpetek il cui legame professionale si è stretto negli anni, Dario Fo’ che ricorda ancora con nostalgia…
uesto novembre in Italia dopo il debutto in America:
“Medeae… da Euripide in poi” un viaggio che compie dieci anni fra le braccia di una regia del suo calibro. Lo spirito e il sentimento che ha accompagnato questo cammino evolutivo…
Lo spirito e il sentimento è principalmente la lotta, la necessità di risvegliare le coscienze creative non solo degli attori, ma soprattutto del pubblico. Risvegliare quella capacità critica che possa emergere dal mito, una risposta che emerga dalla letteratura classica in cui risiede tutta la risposta dell’umanità.
Noi nelle parole dei nostri antenati siamo ereditieri non meritevoli, ma lì abbiamo tutte le risposte, in una società come la nostra il teatro non deve fare altro che tornare alle radici solide e con Medeae è possibile poiché i greci ci rispondono.
Medeae nei suoi panni: cosa le lascia mettere in scena questa figura femminile e quanto diviene contemporanea?
Ogni giorno si prova a mettere in scena un talento: è il pubblico a stabilire chi è un attore o meno, l’augurio che posso farmi è di essere sempre così lucida nel guardarmi, provando ad essere critica sempre verso me stessa: il teatro è anche questa catarsi, il pubblico deve riuscire ad uscire da uno spettacolo pensando “ma io che faccio per tutto questo?”.
Dunque Medeae in questo caso è il femminile talvolta inadeguato, nata contemporanea senza alcun richiamo particolare e per questo eterna perché “madre.” Quel tradimento di cui si macchia è proprio dell’umanità e la spinge ad avere la dignità per difendere la stessa umanità femminile che prescinde da Giasone ,in qualità di figura maschile, sicuramente incapace di centrare l’importanza del ventre che da la vita. È per questo che il testo dello spettacolo parte da Euripide per indagare le forme più alte trasmesse nelle arti successive: da Seneca, a Christa Wolf..
L’artista ha delle responsabilità. Oggi Lei attraverso Medeae ha riconosciuto un bagliore creativo perché?
Per dare voce ad un personaggio indagato nei secoli anche dai sociologi, una Medea per sempre moderna che ci aiuta forse a risvegliare la gente dall’ipnosi negativa che caratterizza la società del tempo, la mia responsabilità è sicuramente sconvolgere affinché si rifletta, per questo motivo fra i miei lavori scelgo quello che mi fa “vibrare” e che mi offre la possibilità di sentire un sentimento vivo. La cosa fondamentale è che la gente si riconosca in maniera vera in quello che vede in scena poiché la scena è uno specchio, se ciò non accade noi artisti abbiamo perso.
Dare voce all’arte in una società che Bauman definì “liquida”: il teatro oggi come restituisce il sentimento più profondo e veritiero della vita?
Il teatro è l’utero della vita. Come una madre che ci da la vita, oggi il teatro deve essere pregno, coinvolgente, invasivo. Oggi il nostro compito nella società contemporanea non è rappresentare il personaggio o dare una buona esecuzionetecnica, ma meravigliare poiché si è appunto assopiti e non più pronti a ciò, ma ciò deve essere restituito. L’attore non si mette in gioco solo per le sue rinunce, per il denaro di cui sarà retribuito, ma principalmente per la verità fatta di profonde emozioni, quello che ne dovrà fuoriuscire è una voce dell’anima che l’attore deve provare altrimenti si fa il conto con la frustrazione più alta per se stesso.
Da donna e artista, lei crede che il confine fra realtà e finzione è maggiormente labile nella vita o a teatro?
Non c’è una differenza fra la realtà e la finzione, in particolare a teatro.
Io sono un’attrice che sposa il passato artistico italiano, ho lavorato con Dario Fo’ ma ho trovato il mio codice identificativo attraverso Lee Strasberg Actor’s Studio di New York.
Era Strasberg a dirci che era necessario recuperare dal nostro salvadanaio emozionale più profondo ed intimo, presente in tutti noi, delle veritiere emozioni da centrare e riconoscere per metterle a disposizione del personaggio. Dunque il suo insegnamento ha a che fare con una tecnica che ci permette di scavare e giungere ad una verità interiore che mai vivremmo nella nostra vita reale; probabilmente io come donna non ucciderei mai nella mia vita reale dei figli ma dentro di me sono anche infanticida, e per questo devo comprendere in quale memoria emotiva è tutto ciò e a quel punto io posso donarmi a teatro, resta solo questo.
Come diceva un mio grande riferimento didattico, uomo con cui ho avuto l’onore di studiare, Vittorio Gassman: “Noi siamo le Puttane del Palcoscenico. Il tuo orgasmo è dare vita al Personaggio e se tu non lo vivi davvero il tuo personaggio, esso è finto e quando si è finti non interessi a nessuno.”
E comunque.. i primi ottanta attori di Strasberg finirono tutti in psichiatria pur di cercare, trovandola.. questa verità interiore!
Per concludere: qualcosa che non ci siamo dette e che mi direbbe pensando all’arte che sa esprimere e quanto ne verrà…
Che vinca il libero pensiero e la libertà di azione e di parola, al di là della politica e delle religioni, perché il teatro sia lo studio della mia verità, espressione e codice personale. Come attrice il mio desiderio è di potermi chiedere sempre tanti perché come i bambini, ma che queste risposte siano un’apertura affinché ognuno di noi torni a ragionare nella sua libertà personale.
Con la verità in tasca, quell’arte libera e franca che Sarah Falanga ha conosciuto e non abbandona, non si sottrae e ricorda ancora: “c’è sempre meno possibilità di ascolto, di aggregazione, sempre meno capacità di scambio e di umanità e in questa epoca io con il mio teatro vorrò dire cosa sta accadendo giorno per giorno.”
Mariapia Vecchione
Mariapia Vecchione su SalernoNews24 accompagna il lettore alla scoperta di una realtà autentica, critica e audace.
La sua formazione umanistica permette al suo sguardo di ricercare inestimabili meraviglie.
Appassionata di arte contemporanea, fotografia, food&wine e viaggi, ma consapevole che “il viaggio più lungo è il viaggio interiore” (D. Hammarskjöld)