Intervista ad Antonella Ruggiero: “la musica è un mezzo per arrivare a chi è come te”

di Sergio Del Vecchio-

“Quando si va nel profondo della ricerca musicale ci sarà sempre chi ha voglia di ascoltare la tua musica”

Antonella Ruggiero è stasera in concerto a Villa Salati, Capaccio -Paestum, accompagnata dall’Ensemble Salerno Classica diretta da Valter Sivilotti.  Una delle voci più belle del panorama italiano, versatile e profonda. Prima con i Matia Bazar, poi, dagli anni ’90, solista, Antonella Ruggiero ha sperimentato, spaziato dal pop alla cultura religiosa indiana, africana, alle atmosfere di Broadway, al fado portoghese, alla canzone d’autore a cavallo fra le guerre. Sempre fedele a se stessa, sempre oltre.

Queste le parole di Antonella Ruggiero, prima della musica di stasera.

Personalmente ritengo che il suo nome debba essere associato a quello di Fabrizio De Andrè, Bruno Lauzi, Umberto Bindi, Gino Paoli, Luigi Tenco: i grandi musicisti di Genova. Sente il richiamo delle sue radici genovesi o si sente più una cittadina del mondo?

Da Genova come sappiamo da secoli sono partite persone che hanno lavorato nel campo dell’arte, dell’ingegno, della tecnica, eccetera, quindi come base la città è servita a molti per poi andarsene portando però con sé questo carattere abbastanza introverso e meditativo, se vogliamo, come hanno dimostrato specialmente nella musica del nostro tempo i cantautori che sono partiti da lì. Comunque sì, avendo vissuto da bambina l’infanzia a Genova, è rimasta dentro di me, dopodiché però me ne sono allontanata anch’io.

 In quei lunghi anni sabbatici dei primi anni 90 il suo allontanamento dalla band è coinciso anche con un allontanamento dalla routine della musica, dalla quotidianità, ma anche dall’Italia. Si trattò più di una ricerca solo spirituale o anche musicale?

Sicuramente ho avvertito proprio il bisogno di fermare la macchina, perché quando l’arte diventa in qualche maniera routine si toglie quella poesia che è propria della componente artistica. In tutte le arti secondo me non puoi seguire la grande onda, a un certo punto ti devi fermare, devi capire cosa vuoi ed è quello che è successo a me, mi sono fermata, dopodiché, dopo sette anni, ho ripreso esattamente con gli stessi elementi che continuo ad avere fino ad ora, cioè lavorare con musicisti che provengono da tante culture, da varie nazionalità, insomma avere a che fare con la musica nella sua totalità e non solamente chiusa in un solo genere, cosa che sarebbe stata per me sicuramente molto limitante.

 Trovo che gli arrangiamenti dei brani dei Matia Bazar fossero estremamente curati ed efficaci, pur attraversando l’evoluzione della musica, dal pop-rock all’avvento dell’elettronica. A cosa attribuisce questo momento di grande estro che ha caratterizzato gli anni 70 e 80? Perché secondo lei dagli anni 90 in poi la musica è così drasticamente cambiata?

Personalmente il periodo che ho amato di più è stato quello di “Tango” e “Aristocratica”, il periodo elettronico prodotto da Roberto Colombo (arrangiatore, produttore e marito di Antonella Ruggiero n.d.r.), perché sono stati arrangiamenti assolutamente fuori dal comune, suggestivi, dove io cantavo in maniera anche lì molto particolare, quasi surreale. E’ stato quello per me il periodo, non dico migliore, ma certamente il più interessante. Dagli anni 90 è cambiata la società, quindi è cambiata anche la musica, sono cambiate le proposte musicali, ormai tutti fanno musica a casa propria. Se vogliamo questo poter fare musica, o comunque provare a fare musica e testi, senza una produzione precisa può essere sì anche positivo, non dico di no – alcuni giovani hanno fatto grande successo nel mondo così – ma per molti altri può costituire un grande limite. Con la tecnologia è cambiato tutto, del passato com’era prima non esiste più niente, se non il nostro ricordo.

 Lei è stata un’habitué di Sanremo, ha partecipato a oltre 10 edizioni e 2 volte è andata vicino alla vetta del podio. Quale è stato il suo rapporto col “Festival dei fiori”?

E’ sempre stato quello di una persona che aveva qualcosa da proporre al grande pubblico perché in una settimana di Sanremo quello che fai è messo a disposizione di non so quante persone, quindi ecco, l’ho sempre vissuta con questa volontà, quella di proporre qualcosa di nuovo che avevo realizzato in quel momento. Del resto poi non ho mai mitizzato Sanremo, perché non è la mia nella mia natura mitizzare niente, ma concordo ovviamente sul fatto che in Italia questo sia un mezzo di promozione potentissimo.

Il suo cofanetto uscito nel 2018, dal titolo “Quando facevo la cantante”, contiene 115 brani e spazia dalla canzone popolare e dialettale alla world music, una summa del suo percorso artistico da solista che evidenzia quanto lei sia una profonda conoscitrice dei linguaggi musicali. Si sente una esploratrice sempre alla ricerca di qualcosa che le faccia vibrare l’anima?

Sì, questo sì, perché nell’arte secondo me deve essere così. Nei secoli è sempre stato così. Se non ti muovi in questo senso diventi solo un elemento che produce qualcosa, ma bisogna andare nel profondo e quando si va nel profondo, nella propria ricerca personale, ci sarà sempre qualcuno che a sua volta ha voglia di sentire quelle cose. Voglio dire, la musica è proprio un mezzo per arrivare a chi è come te. Ecco, io non ho mai preteso di arrivare alle grandi masse, perché non faccio nulla per questo, però so che ci sono tantissime persone che amano le cose diverse, quello che non viene proposto nelle radio, quello che non è, diciamo, “di moda” e io lavoro così, perché a mia volta la musica che ascolto non fa parte assolutamente di quelle proposte.

 Ci racconta questo suo nuovo progetto sperimentale che è uscito quest’ anno e che si chiama “Altrevie”?

È un progetto straordinario, che può piacere o meno, può arrivare o meno, sicuramente è un modo per ascoltare una musica direi sconosciuta, nel senso che ognuno può trovare qualcosa di nuovo dentro questi arrangiamenti, queste vocalità che hanno testi sconosciuti perché non esistono. E’ musica suggestiva, è musica che ognuno può usare come vuole, può entrarci dentro a seconda della sua sensibilità, della sua visione, del suo modo di essere, insomma non ci sono elementi che possano riportare a qualcos’altro. Perciò, se uno vuole ascoltarla – possibilmente senza confusione intorno – per lo meno troverà qualcosa di interessante, di curioso, di bello, e molto profondo.

 

 

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Sergio Del Vecchio Sergio Del Vecchio

Sergio Del Vecchio

Dottore commercialista, giornalista pubblicista, appassionato d’arte, di musica e di fumetto. Ama leggere, disegnare e dipingere. Nel suo percorso professionale si è occupato di formazione e terzo settore. Ha costituito l’Associazione Salerno Attiva – Activa Civitas con cui ha organizzato a Salerno 10 edizioni di VinArte, un format di successo che univa il mondo del wine all’arte nelle sue declinazioni. Nel 2017 è tra i fondatori dell’Associazione culturale Contaminazioni, con cui ha curato diversi eventi e l’edizione del libro “La primavera fuori, 31 scritti al tempo del coronavirus” di cui è anche coautore. Colleziona biciclette e tra i fornelli finge di essere un grande chef.

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