Cambiamenti europei
di Giuseppe Moesch-*
Credo che saranno pochi coloro i quali condivideranno la mia posizione sul voto in Gran Bretagna, che dopo quattordici anni ha visto il crollo del partito Tory e del suo leader Rishi Sunash. Questi, assumendosi tutte le responsabilità della sconfitta, ha rassegnato le dimissioni e immediatamente è stato sostituito dal vincitore Keir Starmer che ha ricevuto l’incarico dal Re Carlo III.
La prima considerazione da fare è ovviamente quella relativa al crollo dei Conservatori che farebbe pensare ad una enorme crescita dei laburisti ma che invece è solo la conseguenza del sistema elettorale uninominale; la crescita infatti dovrebbe essere nell’ordine del 2%.
Tutti i commentatori politici hanno discusso sulla singolarità della svolta a sinistra di quel Paese, con entusiastiche rivendicazioni sul nuovo vento che vorrebbero fosse considerato come forma di resipiscenza degli elettori europei, una sorta di fase di riscossa rispetto alla temuta svolta a destra derivante dal voto per il Parlamento europeo 2024-2029.
In effetti l’Italia, la Francia e la Germania hanno mostrato una crescita significativa dei partiti di destra.
In Francia Macron è stato spinto ad indire elezioni politiche che forse, con l’ammucchiata proposta, che ricorda da vicino il campo largo offerto nel nostro Paese agli smarriti orfanelli Radical chic delle ZTL, potrebbero, come sembra dai sondaggi e come emerge dai primi exit poll, impedire che la Le Pin possa raggiungere la maggioranza assoluta del Parlamento.
La bassissima affluenza per il voto europeo e la crescita significativa del voto per le politiche in Francia ed in Inghilterra dovrebbe farci comprendere quale sia l’elemento che spiega quella apparente contraddizione.
Gli elettori europei sono stufi dei loro governi e del governo europeo.
Per quasi tutti i cittadini europei la crisi economica, la pandemia, i focolai di guerra e gli oneri relativi, i timori per se stessi e per i propri figli, ovvero le preoccupazioni dei giovani per il proprio futuro, quelle più immediate sull’economia mondiale e la debolezza della Germania, tradizionale locomotiva per gli altri grandi paesi europei e la paura per la Cina, il disagio sulle infrastrutture fatiscenti, sul servizio sanitario, sull’emigrazione e sulle periferie, temi comuni ai due Paesi e anche al nostro, gli scioperi degli agricoltori o i “gilets jaunes”, il tema delle pensioni, sono tutti elementi che hanno spinto gli elettori a rifiutare i governi in carica, colpevoli di non aver saputo porre un argine a tutti questi problemi.
Gli Inglesi votarono per la Brexit perché erroneamente attribuivano, sulla base di una scellerata propaganda ideologica portata avanti dai laburisti, alla presenza del loro Paese nell’Unione, la loro condizione di malessere economico e alla tolleranza nei confronti delle politiche migratorie, la crescita di fenomeni di insicurezza sociale, e si aspettavano che il nuovo governo provvedesse a cambiamenti significativi.
La risposta di matrice comunista del precedente leader laburista Jeremy Corbyn fu il colpo di grazia: i Democratici erano già invisi agli elettori, che rigettarono pertanto di continuare in quella direzione preferendo la scelta Tory.
Il 7 maggio 2017 la Francia, l’Europa ed il mondo intero hanno assistito al discorso alla Nazione rivolto da Emmanuel Macron in occasione della vittoria nel ballottaggio con Marine Le Pen.
La scenografia e la sceneggiatura dell’evento furono all’altezza dell’idea di grandeur che è insito nella mentalità francese e quella passeggiata, scandita dall’Inno alla gioia di Beethoven, si concludeva con un discorso che sembrava collocare il Paese nettamente nell’ambito europeo. Il vincitore delle elezioni aveva creato un nuovo partito non partito, nel giro di pochissimo divenendo l’uomo che avrebbe dato slancio ai desiderata di buona parte dei cittadini europei.
Il nuovissimo Impero che si pensava fosse ormai prossimo aveva per molti il suo Napoleone, ed il più convinto ero lo stesso Macron che a trentanove anni vinceva in patria e cominciava il suo percorso di conquista dell’Europa.
Come spesso succede, la convinzione di incarnare la figura dell’uomo della provvidenza cozza con il destino cinico e baro che attiva il Generale Inverno e con la svogliatezza delle truppe, con i fenomeni incontrollabili a livello internazionale o con le pandemie, ponendo ostacoli imprevisti che impediscono il divenire del progetto imperiale. Gli eroi sono portati così a sottovalutare quel che accade e, consci e sicuri della propria potenza e del proprio carisma, smettono di tendere le orecchie ai bisogni della gente che li ha portati al potere.
Credo che queste poche righe siano in grado di spiegare in grandi linee la debacle della marcia di “en marche”.
I sentimenti di odio e amore che da sempre caratterizzano il rapporto franco/tedesco, attivato ed amplificato da Macron con l’appoggio della Merkel, che aveva dovuto barcamenarsi tra i fantasmi del nazismo nell’Ovest e quelli del comunismo all’Est, ed era stata ben lieta di trovare un novello alleato, hanno spinto l’uomo a cercare il successo sul piano internazionale trascurando quello interno.
Anche in questo caso gli elettori hanno presentato il conto e solo la mossa strategica di Macron ha consentito di porre rimedio alla deriva che stava per sommergere il Paese e che al secondo turno ha impedito alla Le Pen di poter subito passare all’incasso per il successo del primo turno che faceva pensare alla maggioranza assoluta delle destre.
La grande ammucchiata senza valori comuni ma portatrice di slogan triti e ormai stantii, ha raggiunto l’obiettivo di impedire alla Le Pen di non vincere. Ha invece dimostrato tutta la vacuità di quella scelta, perché ovviamente non esiste la possibilità di formare un governo con i veti incrociati e le strategie politiche velleitarie di un Melenchon, che propone le pensioni a 60 anni insostenibili per il Paese, o una politica contro Israele o ancora l’immediata fine dell’appoggio alla Ucraina, con una singolare convergenza con le scelte della Le Pen.
Non sarà possibile nessuna coalizione a destra e nessuna a sinistra, ma, a meno di transfughi, la sola possibilità sarà un grosso raggruppamento di centro sinistra con i socialisti e con un qualche appoggio dei verdi, per superare l’anno di impedimento al nuovo scioglimento del Parlamento.
Per quanto riguarda la Gran Bretagna, non sarà possibile un immediato ripensamento rispetto alla Brexit, sebbene le conseguenze si siano fatte sentire, ma il nuovo premier sembra aver compreso la lezione.
La crisi francese tuttavia presenta un effetto positivo per il nostro Paese, specialmente dopo la decisione dell’acuto Salvini, che ha deciso di far confluire la Lega nel gruppo dell’estrema destra europea liberando così la Meloni dall’abbraccio di quel partito permettendole di non avere difficoltà a dissociarsi dalla collocazione fascista e poter negoziare il supporto dell’Italia al governo europeo.
Tutti gli eventi possono avere altri due effetti positivi: in primo luogo far capire all’Europa ed ai vari governi che i cittadini non tollerano più scelte cervellotiche, ideologiche e fuori dalla realtà come fino ad oggi le proposte dalle auto elettriche, la politica green, i diktat alimentari eccetera che penalizzano sistematicamente i gruppi sociali più deboli.
La seconda è che le conseguenze della presa d’atto della volontà dei cittadini possa spazzare via quella classe di cialtroni Radical Chic delle ZTL che hanno fatto perdere la speranza di un mondo più giusto.
* già Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno