La democrazia a domicilio
di Giuseppe Moesch*
Manhant Haridas Udaseen è balzato all’onore delle cronache per un singolare episodio che ha caratterizzato la sua vita nei giorni scorsi.
L’uomo, un monaco quarantaduenne, guardiano solitario del tempio di Shiva, all’interno della foresta di Gir nello stato del Gujarat, vicino a un corso d’acqua infestato da coccodrilli, zona che include una nutrita presenza di animali selvaggi tra i quali leoni e serpenti velenosi, ha potuto esercitare il suo diritto di voto, come previsto dalla Costituzione del suo Paese, l’India, quasi un continente, con una superficie di circa tre milioni e trecentomila chilometri quadrati e una popolazione di oltre un miliardo e quattrocento milioni di abitanti, da quest’anno il più popoloso del mondo, anche più della Cina.
La legge prevede che ogni cittadino possa esercitare il proprio diritto in un seggio non distante più di due chilometri dalla propria residenza e per tal motivo è stato previsto e realizzato un seggio nella sede delle guardie forestali del Parco dove sei funzionari governativi accompagnati da due poliziotti, hanno permesso all’uomo di votare.
Il seggio è rimasto aperto tutto il giorno fino alle sei di sera, anche se nessun altro votante era iscritto, e l’uomo mostrando alle telecamere accorse per registrare l’evento, il proprio dito inchiostrato, si è dichiarato soddisfatto e orgoglioso che il suo Paese considerasse importante anche l’ultimo voto degli oltre novecento sessantanove milioni di elettori, che dal 19 di aprile al 1 di giugno, sono chiamati alle urne.
La notizia potrebbe essere considerata bizzarra tuttavia credo che possa offrire lo spunto per alcune riflessioni.
In primo luogo la complessità e le difficoltà connesse all’operazione rende, questa relativamente giovane democrazia un esempio, specialmente in considerazione dell’affluenza, che nel 2019 fu di oltre il 67%, che testimonia della partecipazione della popolazione, specialmente se paragonata alla disaffezione degli europei e degli statunitensi.
Tuttavia a fronte di ciò appare sempre più vacillante la possibilità di contrapporre al crescente atteggiamento autocratico di Modi e del partito BJP, un’opposizione che possa vincere, vista la sempre più massiccia repressione nei confronti dei media e gli arresti dei leader dell’opposizione.
La politica portata avanti dal leader, figlio di un venditore ambulante di the, è sempre più marcatamente finalizzata all’affermazione della supremazia della componente induista, oltre l’80’%, contrapposta a quella delle minoranze, in particolare di quella mussulmana, intorno al 14%, circa 200 milioni, a quella cristiana poco meno del 2,5%, pari ad oltre 30 milioni di fedeli, e quella sikh poco meno del 2%, che negli ultimi tempi sembra riportare agli scontri del periodo della nascita della nazione quando i praticanti la religione mussulmana andarono a formare il nuovo Stato del Pakistan.
Accanto a questi problemi sempre più le differenze sociali appaiono drammatiche; la ricchezza riunita nelle mani di una ristretta élite in una società tecnologicamente avanzata tanto da competere con gli altri paesi per la conquista dello spazio, mentre ancora oggi nelle strade c’è gente che muore di stenti.
Eppure l’India viene additata come una grande democrazia e l’esempio riportato sopra sembrerebbe confermare la convinzione.
Il voto non è che una condizione necessaria tuttavia non sufficiente per misurare la democraticità di uno Stato: Cina, Russia, Corea Iran, e appunto India o paesi sudamericani o africani che garantiscono ai propri cittadini il diritto di votare, ma assai spesso gli autocrati che sono a capo di quei Paesi creano le condizioni per indirizzare ed impedire che la volontà popolare possa mettere in discussione il ruolo e la funzione del partito dominante.
Credo sia chiaro a tutti che non è necessario imprigionare o uccidere un oppositore per impedire la libera circolazione delle idee: pesi e contrappesi sono gli strumenti presenti nella nostra Costituzione, per garantire il rispetto della democrazia, ma violarli implica impedire a qualcuno di esprimere il proprio pensiero.
Quello che accade in questi giorni in Italia, quando gruppi di giovani militanti dei centri sociali, con metodi fascisti, impediscono ad un Ministro di parlare, o ad uno scrittore di rappresentare le proprie opere, o quando si propone un dibattito in periodo elettorale ai due leader dei maggiori partiti escludendo gli altri, favorendoli oggettivamente in termini di visibilità, o quando ancora capiti che la magistratura faccia coincidere le proprie azioni in periodi di accesa campagna elettorale, allora anche le più solide strutture democratiche possono vacillare.
Si chiedono riforme per affrontare i problemi e sono certo che si sapranno proporre soluzioni più o meno efficaci, ma quello che si dovrebbe realizzare è un serio ritorno ai valori della Costituzione.
Divisione delle carriere per la magistratura, premierato più forte saranno palliativi se i singoli non agiranno nel pieno rispetto dei loro doveri.
Se un insegnante per sue ragioni ideologiche distorce la storia, se un magistrato per la convinzione di avere un ruolo salvifico nella società teorizza l’esistenza di reati non dimostrabili, se un medico non prescrive cure certe e consolidate preferendo soluzioni immaginifiche, se un ambientalista negando il progresso impedisce di intervenire su problemi che hanno soluzioni concrete applicabili nell’immediato, allora non ci sono riforme che possano dare risultati apprezzabili.
Il nostro Paese dimostra sempre di essere in grado di affrontare le condizioni più aspre come appare in questi giorni dal punto di vista della produzione e dell’occupazione.
Quello che non funziona o meglio non sembra funzionare più e lo spirito solidaristico collettivo, la spinta che nel dopoguerra ha permesso all’Italia di risollevarsi pur con i limiti territoriali derivanti dall’eredità del passato di rapina perpetrato dai vari dominanti.
Cercare consenso vendendo l’opinionista o l’influencer di turno o gli eroi del momento, anche se spesso di eroico non c’è nulla, può servire a raccattare qualche voto ma non sostituisce l’assenza di idee e di proposte politiche, e quei mezzucci diventano altrettanti slogan ripetuti da rimbecilliti che hanno portato il cervello all’ammasso.
Riorganizzare la scuola, e da quella ripartire per riacquistare nuova consapevolezza dell’eredità ricevuta e riprendere a rispettare i limiti che i nostri ruoli ci impongono.
*già Professore Ordinario presso Università degli Studi di Salerno