L’uso distorto degli “asocial” networks

di Antonino Papa-

L’avvento dei cosiddetti social networks ha rivoluzionato, e non poco, la dinamica delle relazioni tra umani, o meglio, soggetti presumibilmente dotati di umanità ed intelletto. Ciò è una certezza assodata e sperimentata nel tempo, a tutti accade di notare, ad esempio, persone che viaggiano in treno, l’una di fronte all’altra ed a distanza di meno di un metro, non guardarsi neanche in faccia perché si ha la testa letteralmente nello smartphone.

A tenere banco sono le app dei social, infatti sono le più utilizzate in assoluto quanto ad ore trascorse con lo smartphone; fin qui nulla di grave…

Quando, però, ciò diventa una dipendenza ossessiva sarebbe il caso di consultare uno psichiatra, in alternativa, se si ha la forza (come smettere di fumare da soli) è vivamente consigliato disintossicarsi e tornare ad usare voce ed occhi per relazionarsi con i propri simili.

Facebook, soprattutto, era nato per favorire la socialità ed avere la possibilità di conoscere (virtualmente in prima battuta) persone che nella vita reale non avremmo mai incontrato; la socialità appunto, un termine che nel mondo digitalizzato, interconnesso e globalizzato ha perso totalmente significato, a tal punto che ci si fidanza tramite Facebook e ci si lascia con un messaggio WhatsApp.

Se poi entriamo nella sfera delle “opinioni” e della “libertà di espressione” avremo davanti una Babele tale da far invidia al girone dei dannati dell’Inferno di Dante.

Ciò che traspare con immediatezza, infatti, leggendo qualsiasi commento ai più disparati posts, siano essi di carattere personale, politico, sportivo o qualsiasi altro ambito, è che la società è permeata di invidia, di persone che gioiscono per le disgrazie altrui e di volgarità assoluta, per non parlare poi della diffamazione pura di persone che nella vita reale magari non si conoscono neanche.

Purtroppo, ciò è un vizio tutto italiano: prima si usava l’esposizione sociale di se stessi per esprimersi, farsi conoscere ed, ahimè, anche mettersi in mostra sbandierando il possesso di beni di lusso, auto, vestiti, orologi e così via; ora il tutto si è trasferito nel mondo virtuale e le dinamiche sono alquanto peggiorate.

Libertà di espressione che sconfina in offese, totale mancanza di rispetto per le opinioni altrui, attività costante di mettere in cattiva luce individui che hanno la sola colpa di avere successo nella vita.

Per non parlare poi della politica (già sclerotica e malata di corruzione endemica), o meglio, degli individui che fanno politica perché la corruzione non è una pratica astratta ma un vero e proprio intento di comprare chi si vende per pochi spiccioli o grandi capitali.

Se capita di leggere i commenti ad un post di un qualsiasi esponente politico, infatti, 9 su 10 contengono odio o volgarità, offese personali ed oltraggio a cariche dello Stato ed in alcune aree addirittura odio per le Forze dell’Ordine ed esaltazione dei criminali, anche perché uno dei miti della società malata e distorta in cui viviamo è l’assunto “più sei criminale e più sei rispettato”.

È tutto sbagliato, “la gigantesca onda digitale social” che ha ricoperto le masse ha spazzato via soprattutto la morale, l’etica ed il rispetto; esiste un solo Dio: il denaro, esiste un solo credo: il proprio, e chi la pensa diversamente va “eliminato”, esiste soltanto l’apparire e non l’essere, e così via.

Non è che prima dei social queste dinamiche fossero sconosciute ma, almeno, i cosiddetti “infangatori” seriali erano limitati alla loro ristretta e becera cerchia di amicizie e non ad un pubblico di milioni, e miliardi, di individui. Ciò, inevitabilmente, ha amplificato anche la percezione di se stessi; sui social molti si ritengono immortali, impunibili e professori, questi ultimi soprattutto in ambito di “politica e democrazia”, tradotto: i finti moralisti dell’ultimo minuto che salgono sempre sul carro del vincitore o i classici finti perbenisti che vanno in chiesa la domenica ed una volta fuori son pronti a calpestare anche il crocifisso.

Urgono delle regole ad hoc, se in una società si adottano strumenti differenti per relazionarsi occorre che il sistema normativo si adegui imponendo alle piattaforme social, innanzitutto, iscrizione solo dietro invio di regolare documento d’identità e codice fiscale, ciò sarebbe già un primo deterrente al libertinaggio senza limiti e senza regole a cui assistiamo ogni giorno aprendo una qualsiasi app.

Sorvolo sui contenuti culturali, è noto a tutti che i tre ambiti più “frequentati” dei social sono calcio, politica (se così la si può definire) e “deficienters” che dettano legge come se fossero i Messia sulla terra e la cosa grave è che hanno anche seguito.

Ma che società è questa?

Non ci si parla più, non ci si scambiano a voce neanche gli auguri per il compleanno o a Natale e Capodanno, messaggi in serie uguali per tutti; le assemblee o riunioni per confrontarsi sono state sostituire dai gruppi virtuali nei quali si fa a gara a chi è più leone da tastiera e così via.

Non credo che aspirare a vivere in una società degna di tal nome, ove vigono le regole non scritte del buon senso e del vivere civile, significhi essere arretrati o riluttanti alla tecnologia, vuol dire semplicemente desiderare una società sana e non malata.

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