Le origini di questo conflitto che sembra senza fine
di Benedetta Cioffoletti-
Tra le tappe fondamentali del conflitto israelo-palestinese, va individuato un primo nucleo di tensione nella dichiarazione di Balfour nel 1917 con cui il governo britannico, in seguito al crollo dell’Impero Ottomano e l’acquisizione del mandato sulla Palestina, si espresse a sostegno di una patria nazionale per il popolo ebraico.
Tuttavia, l’origine effettiva del conflitto può essere rintracciata nel 1947 quando, conclusa la Seconda Guerra Mondiale, le Nazioni Unite votarono per la spartizione della Palestina in due Stati: uno ebraico (Israele) e uno arabo, al quale tuttavia non è stata ancora riconosciuta la sovranità statale da oltre cinquanta Stati.
In seguito alla Dichiarazione d’indipendenza israeliana del 1948, una coalizione di Stati arabi, solidali con la causa palestinese, attaccò da tutti i fronti lo Stato di Israele appena nato.Alla fine del conflitto, nel luglio del 1949, Israele controllava il 72% del territorio della Palestina (contro il 56% previsto dall’ONU). Circa 700mila palestinesi furono costretti a lasciare le loro case e a trasferirsi in campi profughi nei Paesi limitrofi, dando così origine a un esodo forzato, la nakba. La guerra del ‘48 aprì una lunghissima stagione di scontri tra Israele e i Paesi arabi confinanti, come la crisi di Suez del 1956, la guerra dei Sei giorni nel 1967 e, sei anni dopo, la guerra dello Yom Kippur.
Dopo vent’anni di occupazione, nel 1987, la popolazione palestinese si sollevò in massa contro i coloni attraverso proteste, scioperi e boicottaggi: si verificò così la prima Intifada, in cui morirono 160 israeliani e oltre 2000 palestinesi. Un tentativo di riappacificazione si ebbe con gli accordi di Oslo (1993), con cui per la prima volta Israele e Palestina si riconobbero come legittimi interlocutori.
Tali accordi, tuttavia, non impedirono la diffusione di un senso di scetticismo riguardo alla loro effettiva applicabilità e alla possibilità di arrivare a una pace concreta tra i popoli di Israele e Palestina: dal 2000 al 2005, infatti, esplose la seconda Intifada, che assunse i caratteri di una guerra d’attrito. Il conflitto prosegue ancora oggi, come dimostrano le recenti vicende del 7 ottobre 2023, giornata della festa ebraica del Simchat Torah e del Sukkot, in cui Hamas, il Movimento Islamico di Resistenza, ha attaccato militarmente Israele causando la morte di 1200 civili e militari israeliani.
La risposta israeliana del primo ministro Netanyahu è stata immediata, annunciando l’inizio della controffensiva denominata Operazione Spade di Ferro. Questa nuova fase del conflitto israelo-palestinese sta dimostrando alla comunità internazionale come non si possa propriamente parlare di guerra, ma di una dinamica di squilibrio tra coloni israeliani e colonizzati.
L’IDF, forze armate israeliane, sta infatti ignorando il diritto internazionale umanitario compiendo attacchi illegali e mortali nella Striscia di Gaza occupata, causando così oltre 32.500 morti accertati e 74.000 feriti. Il governo israeliano si difende giustificando i propri massacri con l’obiettivo di eliminare definitivamente Hamas, azzerando completamente la distinzione tra civili e combattenti.
Secondo un recente studio condotto dalla rivista scientifica The Lancet, del totale delle vittime accertate, circa 20700 sono donne e bambini (70% delle vittime). Di conseguenza il restante 30% delle vittime è costituito da uomini, circa 12000, di cui solo 3350 erano obiettivi legittimi, dunque militari. Il 90% delle vittime, quindi, è costituito da civili, i veri obiettivi degli attacchi militari israeliani.
Per tale motivo il governo di Netanyahu è accusato di star commettendo nei confronti della popolazione palestinese un vero e proprio genocidio, il crimine dei crimini, vietato dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, adottata all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York il 9 dicembre 1948.
La Corte Internazionale di Giustizia ha infatti affermato, in una sentenza provvisoria, che il rischio di genocidio è concreto e imminente, ribadendo quanto sia urgente che tutti gli Stati premano per un immediato e duraturo cessate il fuoco, che è il mezzo più efficace per attuare le misure cautelari ordinate dalla stessa Corte.
La risposta israeliana, al contrario, ha autorizzato attacchi indiscriminati, distruzioni di abitazioni e infrastrutture civili, privazione di beni essenziali per la sopravvivenza dei palestinesi, quali acqua, cibo, medicinali, energia elettrica. La reazione israeliana, non conforme al principio di proporzionalità delle contromisure sancito dal diritto internazionale, si configura come una vera e propria “punizione collettiva”, decivilizzando così il popolo palestinese.
L’ art. 48 del primo protocollo di Ginevra, intitolato “basic rule”, statuisce infatti che “allo scopo di assicurare il rispetto e la protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, le parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile e i combattenti, nonché fra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro gli obiettivi militari”.
Viene dunque sancito il principio – violato da Israele – per cui even war has rules (ius in bellum), dimostrando l’evidente fallimento degli aiuti umanitari: nel caso in cui lo Stato non tuteli i diritti fondamentali dell’uomo, dovrebbe essere la comunità internazionale a intervenire.
In Palestina però, nonostante il mondo stia guardando, sembra che nessuno possa – o voglia – porre fine ai crimini di guerra perpetrati dalle forze israeliane.
L’Unione Europea in particolare sembra essere completamente scomparsa, lasciando ai soli Stati Uniti il compito di orientare questo conflitto. Ipocrisia ed egoismo segnano così l’atteggiamento delle potenze occidentali, scettiche nei confronti del valore dei diritti umani in relazione al popolo palestinese. Emerge infatti un ben poco velato doppio standard, che determina una distinzione della dignità della vita tra le vittime al di là del Mediterraneo.
Israele, Piano di spartizione dell’ONU, 1947 Creative Commons Attribution 2.5
