Le sante martiri Tecla, Susanna e Archelaa nella chiesa di San Giorgio in Salerno: la vita tra storia e leggenda.
Salendo per via Duomo, nel cuore del centro storico di Salerno, appena pochi passi più in là della chiesa di Sant’Agostino, si può notare la facciata “impersonale” (a detta dello storico De Simone) della chiesa di San Giorgio, antico edificio di origine longobarda, all’epoca, parte di un grande complesso monastico, attualmente occupato dalle caserme dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Ristrutturata tra la fine del XVI e il XVII secolo, la chiesa accoglie, nel vestibolo a pianta rettangolare, al suo ingresso nel secondo atrio coperto da una volta a crociera, una nicchia con tre statue lignee raffiguranti le santi martiri Tecla, Susanna e Archelaa.
I busti, realizzati (su volere delle monache di San Giorgio), dallo scultore Nicola Fumo nel 1687, uno dei maggiori esponenti dell’arte barocca partenopea, custodiscono, alla base, anche le ossa in una teca di cristallo. Ma chi sono queste martiri? Poco conosciute dagli stessi salernitani, la loro vita è avvolta da un alone di mistero che le vede protagoniste di narrazioni leggendarie che legano indissolubilmente le tre donne a Salerno. Secondo quanto riportato nei documenti della Chiesa detti “Acta Sanctorum” di padre Antonio Beatillo del 1643, le tre martiri di origine romana, per sfuggire alle persecuzioni di Diocleziano e di Massimiano (III secolo d.C.) raggiunsero la città di Nola. Di una in particolare, Archelaide (o Archelaa), vengono riportate le vicende, mentre le altre due non configurano se non come a lei strettamente vicine.
Archelaa, oltre ad essere estremamente devota al Signore, attraverso le preghiere, le penitenze e la cura dei malati, possedeva capacità prodigiose e miracolose e presto la sua fama giunse all’orecchio del Proconsole salernitano Leonzio, il quale, dopo averla interrogata, e confermata la sua fede cristiana, la sottopose ad alcune prove. Nel corso della prima prova la donna doveva difendersi da alcuni feroci leoni che, tuttavia, si trasformarono in docili animali. Stupito, ma allo stesso tempo adirato, Leonzio la rinchiuse in un carcere nel tentativo infruttuoso di avvicinarla al paganesimo. Ordinò, dunque, una seconda pena corporale, ovvero la pece bollente, dopo averla graffiata con un grosso pettine di ferro. Ma anche questa volta il supplizio non ebbe esito positivo. Il Proconsole ordinò, allora, di schiacciarla sotto il peso di un grosso macigno, ma l’intervento miracoloso di un angelo la mise in salvo direzionando il masso verso alcuni soldati, uccidendoli. Leonzio ordinò, infine, che Erchelaide e le sue due più fidate amiche, Susanna e Tecla, venissero trucidate trafitte con delle spade. Inizialmente esitanti i soldati furono, questa volta, invogliati proprio dalle stesse pie donne (era l’anno 293 d.C.). Ma gli eventi miracolosi non finiscono qui! Una notte, infatti, apparve in sogno ad Agneta, monaca benedettina del monastero di San Giorgio, Archelaa per chiederle di andare a Nola a prelevare i resti di lei e delle sue due fedeli amiche, e portarli a Salerno all’interno del monastero. Il sogno si ripeté più volte fin quando, un giorno, la monaca accompagnata dal Vescovo Giovanni e dal Preposito, giunse a Nola per prelevare i corpi delle sante martiri. Nel corso del viaggio di ritorno a Salerno, avvenne il primo prodigio: giunti in piazza in prossimità della Cattedrale, i buoi che trasportavano le reliquie delle sante si fermarono improvvisamente, proseguendo il loro cammino solo quando furono rivolti verso il monastero benedettino di San Giorgio. La leggenda racconta, inoltre, che una mattina comparvero d’improvviso sull’altare delle tre sante, i vasi che contenevano l’unguento (la sacra unzione) che Archelaide utilizzava per guarire i malati. Inoltre nell’anno 1741, durante la notte tra il 18 e il 19 gennaio (giorno in cui si celebrano le sante martiri) svegliato dal rumore delle campane, il confessore delle monache notò, provenire dal chiostro del monastero di San Giorgio, una grande luce come un gran fuoco posto al centro dell’atrio. Alla fine del XVII secolo le tre sante vennero considerate dal popolo come le “Sorelle di San Matteo” poiché, all’epoca, i tre busti erano portati in processione durante la festa del Santo Patrono, insieme agli altri santi salernitani.
La vita e le vicissitudini delle pie martiri, è descritta in un complesso ciclo di affreschi presente all’interno della chiesa di San Giorgio, fulgido esempio di arte barocca, ben descritto dallo storico Antonio Braca.
Si trovano nella cappella di destra, in primis un affresco che raffigura “Il trasporto delle spoglie da Nola a Salerno” posizionato inizialmente in una lunetta in stile tardomanierista (fine XVII secolo).
Non lontano ritroviamo due rappresentazioni del “Martirio delle sante Tecla, Archelaa e Susanna”, quello della pece bollente, di Angelo Solimena del 1675 e un altro, realizzato da Francesco Solimena del 1680 “Le sante condotte al martirio”.
Interessanti sono anche “Le sante in meditazione” malridotto e frammentato sempre di Francesco Solimena e la “Visione di suor Agnese”, tutte con evidenti richiami alla cultura pittorica partenopea di Luca Giordano.
