L’aritmetica dei politici privi di proposte politiche
di Giuseppe Moesh*
Il risultato delle elezioni in Sardegna può essere letto in modi differenti a secondo del grado di stupidità dei commentatori e pertanto sarò tra i primi a farlo, anche se qualcuno mi ha già anticipato.
Il dato oggettivo è quello della elezione della candidata del M5S Alessandra Todde, figura di rilievo nei passati governi con presenza grillina, in un raggruppamento con il PD, Verdi e Sinistra, i socialisti per un totale di una decina di liste.
Al secondo posto si è classificato Paolo Truzzo, sindaco di Cagliari candidato di Fratelli d’Italia, appoggiato anche lui da una decina di liste con uno scarto di un migliaio di voti dalla neo eletta, in un raggruppamento che comprendeva Forza Italia, la Lega, il Partito Sardo d’Azione che aveva dovuto rinunciare al proprio candidato, il Governatore uscente, unanimemente considerato poco efficiente nella sua esperienza.
Al terzo posto con poco meno del 9% si è piazzato Renato Soru, già governatore con la sinistra, appoggiato da liste locali, Rifondazione Comunista, Italia Viva, Azione e Più Europa, parvenza di un terzo Polo in contrapposizione agli altri due e platealmente contro il raggruppamento PD M5S.
Infine una candidatura di bandiera quale quella di Lucia Chessa che ha raccolto intorno all’1% dei consensi.
È necessario fornire alcune premesse:
1. In Sardegna vige il limite del 10% per poter accedere al consiglio;
2. Il sistema di voto prevede la possibilità del voto disgiunto;
3. È previsto il premio di maggioranza.
In base al punto 1 Soru e gli altri candidati della sua lista sono fuori, nonostante abbiano raccolto intorno quasi al 9% dei voti.
Il punto 3 garantisce alla vincitrice di poter governare senza problemi, anche se ha ottenuto solo un migliaio di voti in più del suo diretto avversario, risultato ottenuto peraltro in base al punto 2, ovvero avendo ottenuto più del tre per cento in più di preferenze rispetto al suo avversario mentre la sua coalizione ha ottenuto molti meno voti.
Appare chiaro che chiunque potrà usare i dati a suo piacimento per avvalorare le proprie tesi, anche le più strampalate, come si è già visto da ieri sera e stamane dalle dichiarazioni rilasciate ai vari media; tuttavia la cosa più seria è capire che cosa sia accaduto e quali siano le implicazioni.
Il primo dato interessante è la conferma di una netta bipolarizzazione dell’elettorato, che non prende in considerazione un raggruppamento alternativo come quello formatosi per l’occasione intorno a Soru. L’ex governatore ha un suo proprio consenso e si è proposto come scudo rispetto all’iniziativa della Schlein e su questo hanno puntato gli strateghi aspiranti leader del centro. Senza una proposta politica, hanno voluto testare la loro capacità aggregatrice pronti a lucrare dell’eventuale risultato di Soru, per appropriarsene.
Le mosche cocchiere, come in quasi tutte le loro manifestazioni passate, hanno pensato di poter lucrare dei beni altrui per raggiungere il successo, dalle eredità paterne e materne, ai leader di spessore del passato di cui hanno ereditato i partiti, tutti come avvoltoi ad aspettare il lauto pranzo, che purtroppo per loro non c’è stato.
E non c’è stato il risultato sperato per il combinato disposto di tre eventi non sufficientemente analizzati, ovvero il popolo sardo, lo stratega Salvini, e la suicida Schlein.
Dei quasi dieci anni di insegnamento a Cagliari, dalle mie frequentazioni con Alghero e le mie vacanze, credo di aver capito un poco della mentalità di quel popolo: non è disposto a farsi prendere per i fondelli, ed infatti la Todde non ha voluto la presenza della Schlein e di Conte sia al comizio di chiusura che alla conferenza stampa per la vittoria.
La lotta per la scelta del candidato di centro destra è stato un capolavoro di strafottenza da parte della Meloni che ha voluto affermare la sua superiorità numerica per tentare di ridimensionare Salvini il quale a sua volta, come per il Quirinale, ha pensato di fare politica mostrando i muscoli, per poi dover cedere, ma da energumeno non ha mostrato fair play e certamente non ha remato a favore così come il suo campione esponente del Partito Sardo d’Azione, che aveva governato così male da attrarre l’ostilità di tutti.
La combinazione delle due cose è stata certamente motivo di irritazione per gli elettori di quel partito che hanno sentito sulla loro pelle la sopraffazione della politica di Roma rispetto alle prerogative insulari. Inoltre il candidato proposto, attuale sindaco di Cagliari non aveva certamente dato prove di grande efficienza nella gestione della città da lui amministrata, portando a suo merito la sola assoluta fedeltà alla premier. Si aggiunga a questo la frammentazione per la presenza di piccole liste che hanno mantenuto in quell’area i voti ma non hanno fatto confluire i consensi su un candidato che ritenevano non idoneo, proprio nella sua città dove lo scarto è stato intorno ai venti punti.
Il risultato è stato da un lato la conferma del voto delle passate elezioni e dall’altro la perdita della guida della regione.
L’ultimo aspetto di questa strana e prevedibile storia è la dimostrazione che un partito non lo si conquista e si gestisce con i trucchi ed i mezzucci; il PD è molto strutturato e conquistarlo usando il trucco dei gazebo dove a votare sono stati i mestatori prossimi al M5S, che hanno permesso alla Schlein di diventare segretaria a danno di Bonaccini, ha consentito di ottenere il successo dell’operazione ma ha diviso profondamente il partito. L’alleanza furbesca con i pentastellati ha permesso alla Todde di essere eletta, ma ha consentito a Conte di far capire al mondo che il risultato si è ottenuto, non con un’alleanza più o meno organica, bensì usando un comodo risciò preso a nolo per raggiungere la meta.
Tra tutti gli elementi illustrati la sola vera assente è la politica; ed anche se si tratta di un voto parziale e locale, ciò che emerge è che la sola Todde ha affrontato i temi che stanno a cuore ai cittadini ovvero sanità, istruzione, trasporti e sviluppo economico e sociale. Buona parte di quei temi sono la conseguenza di politiche nazionali e locali demenziali che vanno avanti da anni, basti pensare alle politiche dei tagli portati avanti da Monti in poi ed esasperate dalle sciagurate politiche dei governi guidati da Conte, dai banchi a rotelle ai vari redditi di cittadinanza ed ai vari bonus.
È incredibile che la tattica messa in campo per aggiudicarsi il potere abbia tenuto in ombra quei temi e si comprende come questo abbia condotto i cittadini a votare per l’unica che li ha messi in campo, e che guarda caso appartiene tuttavia a quello schieramento che ha dato vita a quel malessere.
Ciò che emerge dal voto è che i personalismi e i partiti accorpati per fini personali stanno arrivando al capolinea.
La politica è la possibilità di trasformare ideali in azioni di governo a favore della popolazione.
La nostra Costituzione ci mette al riparo dalla iattura delle monarchie oltre che delle dittature, anche se non sono pochi a credere di esser un unto del Signore; spazziamo via gli ultimi perniciosi cascami di un periodo che dalla fine degli anni ottanta ha devastato il nostro Paese, attraverso il tentativo sotterraneo di sovvertirne l’ordinamento. Ridiamo vita alla democrazia a cominciare dai partiti e dai sindacati, e ridiamo dignità alla scuola e alle altre istituzioni, a tutte le istituzioni, per ritornare ad un sistema che ci possa rendere nuovamente orgogliosi del nostro passato ed in grado di affrontare le sfide che ci attendono in un periodo in cui rigurgiti imperiali ed aspiranti dittatori stanno dando il via a nuove catastrofi.
*già Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno
