E come ogni anno, ecco il lascito socioculturale del Festival di Sanremo
di Pierre De Filippo-
Come ormai da tradizione, anche quest’anno il Festival di Sanremo, giunto alla sua 74esima edizione, ci lascia un bagaglio che va ben oltre la musica e lo spettacolo. Sanremo è Sanremo e continua ad essere lo specchio del Paese, quello reale.
Un Festival campione di ascolti, che si è chiuso con la vittoria della lucana Angelina Mango, figlia d’arte, e con la vittoria di una donna a distanza di dieci anni dall’ultima volta (in quel caso, Arisa, anche lei lucana).
Il più radiofonico tra i Festival di Amadeus non ci annoia, nonostante il titolo della canzone vincitrice, anche se manca un po’ di mordente musicale e polemico che ha contraddistinto le precedenti edizioni. Sì, c’è John Travolta che si picca per il ballo del qua qua; sì, c’è Geolier che gode della densità abitativa dei luoghi che gli hanno dato i natali ma niente di più, niente di eccezionale.
E, per concludere le note musicali, appare più che giusto il Premio della critica – Mia Martini a sua sorella Loredana, che con la sua Pazza chiude un cerchio.
Venendo alla politica e al costume, cosa resterà di questo Festival di Sanremo?
Resterà, per il Pd, l’imbarazzo della scelta. Il Pd riparta da Fiorella Mannoia, si dirà. Un inno sulle donne, per le donne e con le donne di una femminista impenitente che dimostra di avere una delle voci più belle del panorama musicale italiano. Ma il Pd riparta anche da Mahmood, che racconta come solo lui sa fare le periferie e quel mondo giovanile ancora alla ricerca del suo posto del mondo. Quando presenta Ghali – il terzo dal quale il Pd deve ripartire – e gli si avvicina, siamo certi che Salvini, di cui non si hanno più notizie da quel momento, sia stato colto da sincope.
Ghali spicca soprattutto nella serata delle cover dove, con un crescendo di logica e di astuzia, parte dal canto in arabo e finisce con L’italiano di Toto Cutugno.
In tutto ciò, una certezza: che il Pd non ripartirà né dalla Mannoia, né da Mahmood e né da Ghali. Perché ripartire significherebbe andare avanti e non indietro. Impossibile.
Il M5S, invece, riparta dall’idealismo ingenuo e facilone di Dargen D’Amico, che sente la necessità di dire che lui di cazzate nella vita ne ha fatte tante ma la politica mai.
Bè, considerando che la politica, in questo Paese, l’hanno fatta Toninelli e Barbara Lezzi, lui, in questo bailamme, ci sarebbe stato benissimo.
Sia chiaro, la canzone non è per niente sciocca, oltre ad essere molto orecchiabile, ma quindici anni di populismo dovrebbero averci insegnato che non bastano le buone intenzioni per risolvere i problemi.
La destra di governo, da par sua, riparta dai trattori e dalle loro proteste. Si è tanto parlato di una ritrosia da parte dei vertici Rai nel far salire i rappresentanti degli agricoltori sul palco dell’Ariston. A parte che mi pare che Sanremo sia ancora un festival musicale e non una sagra del settore florovivaistico, ma il governo avrebbe avuto tutto l’interesse, a quattro mesi dalle Europee, a far salire sul palco rivendicazioni e proteste rivolte principalmente verso l’Unione europea (in alcuni casi, giustificate, in altre meno). Dunque, vive il riscatto agricolo.
Il Sud riparta da Angelina Mango. Ma anche da Geolier e la sua napoletanità (che, quando è troppa, storpia sempre), dalla grinta di Loredana Berté e dalla cospicua colonia pugliese, col Salento che impera. Una sorta di Autonomia differenziata in salsa sanremese, in cui a sbracciare e a chiedere spazio, valorizzando le sue eccellenze, è il Meridione, troppo spesso vittima anche di se stesso.
Chiudo con due questioni un po’ più serie. Pare che Fratelli d’Italia campana stia pensando di candidare alle Europee la signora Daniela Di Maggio, la mamma di Giogiò, il giovane musicista ucciso a Napoli dopo una lite. La signora, presente sul palco, in una intervista a Repubblica, ha dichiarato di essere disponibile alla candidatura per “cercare giustizia” e per “rappresentare la Napoli aristocratica”. Cosa significa? Con tutto il rispetto, signora, nulla!
Ognuno ha il suo modo di elaborare il dolore, ci mancherebbe. Ma se volessimo riservare un posto a chiunque abbia subito una tragedia non basterebbero i posti di un parlamento mondiale.
L’ultima questione riguarda un post di Elena Cecchettin, sorella di Giulia, uccisa dal fidanzato qualche mese fa. La Elena ha ritenuto di dover polemizzare circa la presenza sul palco dell’Ariston del cast di Mare fuori, che ci ha descritto le nuove parole dell’amore. E sì, perché violenza e amore – ha detto la Cecchettin – non possono mai andare d’accordo. E visto che, della violenza, Mare fuori sarebbe la sineddoche…
A voler essere cattivi, molto cattivi, viene da chiedersi se questo pensiero lo abbia concepito lei o se glielo abbia suggerito il genio della comunicazione assunto da suo padre. Ma qui nessuno vuole essere cattivo.
Ribadisco: ognuno interpreta il dolore come meglio crede. Io mi stranisco perché a me è stato insegnato che è sempre, sempre un fatto privato. E, quando ci si apre alla lingua biforcuta dell’opinione pubblica, non ci si deve stupire se qualcuno, qualcuno più cattivo di me, tacci queste persone di strumentalizzare le proprie tragedie.
Questo il bollettino dal fronte nell’anno di grazia 2024. A risentirci, con buona speranza, tra un annetto circa.