Udii nel sonno le ciaramelle
-di Giuseppe Esposito
E son tornati, quest’anno, dopo lunga assenza gli zampognari in casa nostra. Sono giunti inattesi, han bussato, sono entrati ed han fatto risuonare nelle mura di casa l’inno “Tu scendi dalle stelle”, o meglio “Quanno nascette Ninno”, che così, in lingua napoletana lo compose sant’Alfonso Maria dei Liguori.
Ma, a differenza di quanto avveniva tanti anni fa, hanno suonato i loro strumenti davanti ad un presepe così scarno da far quasi tristezza: quattro statuine, la sacra famiglia, un bue e un asinello e due zampognari, posti su una tavoletta di sughero. Il tutto posto in un vano tra i volumi della libreria.
Il bel presepe di un tempo non vede più la luce in casa nostra da innumerevoli anni. Tra queste pareti è sceso ormai il silenzio, non vi sono più voci di bimbi ed io mi aggiro, ogni giorno per le stanze vuote.
Non dedico più tempo alla realizzazione di quel presepe, che ogni anno assumeva un aspetto diverso, a seconda dell’estro del momento: le rocce di sughero, le casette di cartone dai colori più diversi; Benino al sommo dello scoglio ed il torrente fatto con la carta argentata delle tavolette di cioccolato, in fondo il laghetto, fatto con un pezzo di specchio ed il pescatore che in esso lanciava la sua lenza, i magi con le loro vesti sontuose che arrivavano da oriente, la stella al colmo della grotta che occupava la parte bassa e centrale della scena, gli angeli che volteggiavano ed annunciavano ai pastori l’avvento del divin Bambino. Ed una folla di pastori che recavano i loro doni al Signore, le pecore sparse tra i cespugli di mischio dei monti. Accanto alla grotta l’osteria col suo tripudio di salami e prosciutti e le botti di vino accanto alla porta e la tavola imbandita ed i commensali che brindavano.
Nulla di tutto ciò è oggi possibile rivedere. Eppure mentre i nuovi zampognari, diversi anche nell’aspetto, moderno per la foggia dei vestiti, riempivano l’aria del suono della zampogna e della ciaramella l’animo che non si arrende, ha fatto riaffiorare dalla nebbia dei ricordi i versi della poesia del Pascoli, imparata a memoria sui banchi delle elementari:
Udii nel sonno le ciramelle,
ho udito un suono di ninne nanne,
ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
Le ciaramelle, senza dir niente,
hanno destato nei suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio,
accende il lume sotto la trave,
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Allora, come forse, accadeva al poeta, che da adulto, rievocava i Natali della sua fanciullezza, anche io sono tornato indietro nel tempo. Mi son ritrovato fanciullo ad assistere alla preparazione del presepe da parte di mio padre.
A quel tempo, dopo aver tirato fuori dagli scatoloni le statuine, avveniva che, per quanta cura si fosse posta nel metterle a posto, qualcuna veniva fuori mutilata di un braccio, di una gamba e qualcuna addirittura della testa. Occorreva ripararle ed allora per la casa si spargeva l’odore pungente della colla di pesce, messa a sciogliere sul fuoco, in un barattolo di latta. Poi andavano fissate alle rocce di sughero ed il presepe, poco a poco, prendeva forma.
Infine mio padre distribuiva tra le rocce di sughero ed i cespugli di muschio una serie di piccole lampadine rotonde ad imitazione dei fuochi dei pastori. Per me era una fascinazione incredibile, una commozione profonda, osservare nel buio della stanza quelle flebili luci che animavano un sogno. Erano tempi in cui, senza esserne consapevoli si era felici ed ancora ignari delle asprezze della vita. Oggi sull’animo sono numerose le cicatrici ed alcune ferite ancona sanguinano e non vogliono sapere di rimarginarsi. Ed il Natale felice di un tempo è divenuto solo fonte di malinconia.
La crèche de Noël 2015 dans l’église des Infournas, détail. Fr.Latreille. Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0
