Roma: dalla Collezione della Fondazione De Chiara De Maio, “Monne e Madonne. Il Seicento a Napoli, un altro Rinascimento”.

Monne e Madonne. Il Seicento a Napoli, un altro Rinascimento dipinti dalla Collezione della Fondazione De Chiara De Maio. Mostra e catalogo a cura di Vincenzo De Luca

Venerdì 1 dicembre 2023 alle ore 11.00 nella Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Roma
sarà inaugurata la mostra “Monne e Madonne. Il Seicento a Napoli, un
altro Rinascimento”. L’evento gode del patrocinio del Ministero dell’Interno.
L’esposizione sarà visitabile gratuitamente fino al 7 gennaio 2024, secondo gli orari di apertura al pubblico della Chiesa.

Alla mostra, ideata e curata dallo storico dell’arte Vincenzo De Luca, è associato il
catalogo. La pubblicazione, edita da FondazioneDe Edizioni, è arricchito dagli
interventi del Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, del rettore della Chiesa di
Sant’Ignazio, Padre Vincenzo D’Adamo SJ, del presidente della Fondazione, Diodato
De Maio, dello psicologo Gaetano Criscitiello.

L’evento è stato realizzato anche grazie alla Direzione Centrale degli Affari dei Culti del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno, presso il Viminale, proprietaria della Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola.

La mostra

Monne e Madonne vuole proporre una chiave di lettura tematica (l’attenzione è
focalizzata sulle presenze femminili) per selezionare e analizzare alcuni capolavori
della pittura appartenenti alla Fondazione De Chiara De Maio.

Tranne poche incursioni nel Cinquecento e nel Settecento tutte le opere appartengono al Seicento, secolo (come del resto quelli precedenti o a venire, fino all’Ottocento) che presenta poche pittrici; il punto di vista è dunque quello maschile.

I termini ‘monna’ e ‘madonna’, da cui il titolo della mostra, sono strettamente legati. Madonna è un appellativo d’onore che si usava dal Medioevo in poi parlando di una donna tra le classi più abbienti e che in tempi più recenti ha come riferimento unico la Vergine Maria. L’etimologia è infatti ‘mia donna’.

E monna ne è la contrazione. Monna e madonna quasi si confondono e diventano nella
mostra il desiderio di recuperare lo sforzo dei pittori di esaltare della donna l’armonia
fisica o la forza dei sentimenti.Un percorso quindi sul corpo e sulle virtù femminili, la grazia carnale e l’estasi mistica.

Le opere 

E quasi tutte le opere hanno a che fare con Napoli e il Meridione, dove nel Seicento
hanno vissuto pittori importanti lasciando testimonianze artisticamente esaltanti.

La selezione partirebbe cronologicamente con una tavola di Marco Pino da Siena che
risente del Giudizio Universale del Buonarroti, il San Michele arcangelo databile verso
la metà del XVI sec. In una Napoli addolcita dalla maniera di Raffaello (in una cappella
nella chiesa di San Domenico Maggiore c’era dal 1513 la sua Madonna del pesce, oggi
al Prado di Madrid, che aveva fatto scuola e influenzato molti pittori), arrivò con Marco
Pino anche la rivoluzione michelangiolesca (corpi decisamente muscolosi, movimenti
serpentinati e nervosi, impostazione d’assieme chiaramente drammatica). Il suo stile
sembra preparare un inizio secolo caravaggesco (nel 1606 arriva a Napoli il Merisi,
destando l’ambiente pittorico da un lungo torpore).

L’ultima opera napoletana di Caravaggio, Il Martirio di Sant’Orsola, rivive (anche per
analogo impianto iconografico) in due tele dello stesso soggetto del secondo e quinto
decennio del Seicento.

La prima tela, di Giovanni Bernardino Azzolino, presenta un forte debito con
Caravaggio, interrompendo così il proprio percorso artistico sul classicismo. La santa
al centro ruba la scena a tutti gli astanti, interdetti. Il soldato nel registro di sinistra lo
si ritrova in una seconda opera di Azzolino in mostra, la Flagellazione di Cristo, che a
sua volta rimanda a quella di Caravaggio, dello stesso soggetto, di San Domenico
Maggiore a Napoli, oggi a Capodimonte.

Nel Martirio di Sant’Orsola di Filippo Vitale, sull’esempio di quello del Caravaggio,
la santa è colta nella sua solitudine spirituale, serena nel proprio dolore, anzi spinta
dalla sofferenza fisica verso una ricercata ascesi capace di disarmare le convinzioni
dell’assassino. In Vitale come in Caravaggio la luce, con alta valenza simbolica,
addolcisce le rotondità della santa diventando invece fortemente spigolosa sui soldati.

Di qualche anno dopo, poco oltre la metà del Seicento, è il San Sebastiano e le pie
donne di Luca Giordano, il cui riferimento diretto è Jusepe de Ribera. Qui le figure di
Irene e della serva (rare nell’iconografia di San Sebastiano), defilate visivamente
rispetto al corpo del santo trafitto dalle frecce, vanno invece considerate le protagoniste
del dipinto, perché giustificano il vero significato dell’opera, che allude in generale alla
funzione della Chiesa misericordiosa.
Inoltre, sono presenti in mostra opere di Salvator Rosa, Pedro Nuñez del Valle,
Francesco Guarini, Francesco Solimena.

Opere in mostra:
_Marco Pino da Siena, San Michele arcangelo, metà del XVI sec., olio su tavola, 122×84,5 cm.
_Giovanni Bernardino Azzolino, Martirio di Sant’Orsola, secondo decennio del XVII sec., olio su tela, 104×128,5 cm.
_Giovanni Bernardino Azzolino, Flagellazione di Cristo, 1627, olio su tela, 155×115 cm.
_Salvator Rosa, Battaglia tra cristiani e turchi, 1630 ca., olio su tela, 100×130
_Pedro Nuñez del Valle, Giuditta con la testa di Oloferne, 1631, olio su tela, 115×108 cm.
_Francesco Guarini, Sant’Agata, 1638 ca., olio su tela, 112,5×77 cm.
_Filippo Vitale, Martirio di Sant’Orsola, quinto decennio del XVII sec., olio su tela, 111×155,5 cm.
_Luca Giordano, San Sebastiano e le pie donne, 1653 ca., olio su tela, 217,5×166 cm.
_Luca Giordano, Traditio clavium, 1654, olio su tela, 103×75,5 cm.
_Francesco Solimena, Guarigione del padre di Tobia, 1725 ca., olio su tela, 72,5×44,3 cm.
_Francesco Solimena, Madonna del Rosario, 1728ca., olio su tela, 76×63 cm.

Redazione Salernonews24

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