Il diritto di dire di no ad Israele
di Pierre De Filippo-
Se c’è una figura che emerge in questo primo mese di guerra è quella che probabilmente nessuno avrebbe immaginato: proprio lui, Sleepy Joe, l’addormentato e canuto Presidente degli Stati Uniti. Biden si sta facendo apprezzare per una fermezza nei confronti dell’alleato israeliano che, per via della sua proverbiale sonnolenza e della quasi intoccabilità di cui gode Tel Aviv, non ha eguali nella storia dei rapporti diplomatici tra i due Paesi.
Il summit dei Ministri degli Esteri del G7 che si è tenuto a Tokio si è chiuso con questa nota: “Mettiamo in rilievo il diritto di Israele di difendere se stessa e il suo popolo, nel rispetto del diritto internazionale…”.
È il mantra che Biden ripete dal primo giorno e che lo ha portato, primo fra tutti i Presidenti americani, a consigliere a Netanyahu di “non ripetere gli errori che abbiamo commesso noi dopo l’11 settembre”.
Una frase che non sarà I have a dream ma che, possiamo starne certi, acquisirà, per la storia, la medesima eco.
L’atteggiamento di Biden è rivoluzionario per un motivo semplice: perché è di buon senso. E, oggi, il buon senso è sempre rivoluzionario. È rivoluzionario perché – riprendendo il ragionamento che provavo a fare in questo articolo (https://www.salernonews24.com/dal-mondo/il-tempismo-e-il-merito/) – distingue tempismo e merito. Rispetto al primo, massima solidarietà ad Israele per il vile e genocida attentato subito il 7 ottobre. Rispetto al secondo, discutiamo.
Discutiamo, per esempio, di ciò che dovrebbe succedere dopo, quando questa guerra – si spera il prima possibile – sarà finita. E Biden è stato chiaro: guai a pensare che possa essere Israele, così come paventato da Netanyahu, a gestire la Striscia di Gaza.
“Gaza è araba e tale deve rimanere” ha detto il Segretario di Stato Blinken. Ha ragione. Si può pensare – lo proponeva anche l’ex Premier israeliano Ehud Olmert – ad una gestione condivisa sotto l’egida dell’Onu oppure in mano ai sottoscrittori degli Accordi di Abramo (quelli che, per capirci, normalizzavano i rapporti di Israele con alcuni tra i più importanti stati arabi, Emirati e Bahrein in testa, oltre che Egitto e Giordania).
In via temporanea. L’obiettivo è sempre quello di consentire all’Autorità nazionale palestinese di riprendere possesso anche della Striscia.
Certo, non Israele da solo. A maggior ragione se a governare Israele dovessero rimanere i guerrafondai di oggi, quelli che negano qualsiasi riconoscimento alla Palestina e ai suoi cittadini, in direzione certamente ostinata ma speculare a quella che ha Hamas nei confronti di Israele.
Per trent’anni, la soluzione dei due Stati ha rappresentato un approdo tanto sicuro quanto irreale. Tutti volevano i due Stati e nessuno si è preoccupato di costruirli.
Anche qui, bene fa Biden a mettere i puntini sulle i: perché Israele si è fatto cogliere di sorpresa la mattina del 7 ottobre? Dov’erano le sue potentissime strutture militari? Dov’erano i vertici dello Shin Bet, l’intelligence interna?
Erano, tutti, a presidiare le nuove colonizzazioni in Cisgiordania. Quelle vietate dalle risoluzioni dell’Onu. Quindi, a violare il diritto internazionale.
Ecco, la soluzione dei due Stati non può non partire da quanto previsto dal diritto internazionale e dal ridiscutere cosa sia e debba essere lo Stato di Israele e cosa sia e debba essere lo Stato della Palestina.
Confini chiari, amicizia lunga. E, soprattutto, legge uguale per tutti.
Le crisi, le guerre, le morti sono sempre dei drammi umani, guai a negarlo. Ma dietro ogni crisi c’è un’opportunità. Nella storia della guerra israelo-palestinese, nell’anno di grazia 2023, abbiamo certamente raggiunto il punto di non ritorno. L’opportunità, e soprattutto la speranza, è che i cittadini israeliani e quelli palestinesi rivedano le proprie scelte politiche, evitando di attribuire vasti consensi a chi, da una parte e dall’altra, ha portato a questo scempio.
Si preferiscano i profeti di pace a quelli di guerra.
Un ultimo consiglio, non richiesto, a Biden: Abu Mazen, il leader di Al Fatah e dell’ANP è uno stanco signore di quasi novant’anni. Immaginare una sua successione dovrebbe essere il primo punto all’ordine del giorno.
Solo per essere lungimiranti, visto che, fino ad ora, nessuno lo è stato.
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