Droga, appropriazione indebita e festini a luci rosse: il caso dell’ex parroco Francesco Spagnesi

di Michele Bartolo-

E’ di qualche giorno fa la notizia che il Santo Padre, su richiesta di don Francesco Spagnesi, ha ridotto allo stato laicale l’ormai ex-parroco romano della diocesi  di Castellina di Prato, esonerandolo quindi dagli obblighi connessi al ministero sacerdotale.

Tale deliberazione è stata comunicata all’interessato il giorno 17 ottobre 2023, ed è divenuta, per effetto di questa notifica, immediatamente efficace.

Ma chi è don Francesco Spagnesi?

E’ un ex-sacerdote quarantenne, coinvolto in una indagine su feste con cocaina e droga dello stupro, inizialmente arrestato per spaccio di droga e poi, nel corso delle indagini, accusato anche di appropriazione indebita.

Il parroco, infatti, nell’ambito del suo ministero sacerdotale, avrebbe utilizzato le offerte dei parrocchiani nonché una cospicua eredità di circa 230.000,00 euro per comprare droga e organizzare festini a luci rosse in parrocchia.

Per la verità il membro del Consiglio affari economici della parrocchia aveva già scritto al parroco,  avvertendolo di una situazione economica che appariva compromessa, con un conto corrente prossimo all’azzeramento, nonostante i cospicui introiti derivanti dalla vendita di appartamenti e dall’elargizione dell’eredità.

Ma don Francesco Spagnesi continuava nell’assecondare i suoi personali bisogni, tanto da sollecitare i fedeli ad elargire ulteriore denaro, utilizzato per rimpinguare i proventi già ingenti gestiti sui conti della parrocchia. E ciò sempre facendo leva sui sentimenti, evidenziando la necessità di aiutare famiglie bisognose.

Questi i fatti, questo il quadro probatorio, poi di fatto confermato dalla scelta dell’indagato di avvalersi dell’istituto del patteggiamento.

Nel dicembre del 2021, infatti, Don Francesco Spagnesi patteggiava una condanna a  tre anni e otto mesi per spaccio di droga continuato, appropriazione indebita dei soldi della parrocchia e truffa ai danni dei fedeli.

Sconterà la pena ai servizi sociali ovvero con la permanenza in una comunità terapeutica per curare la sua tossicodipendenza conclamata, come testimoniata anche dal ritrovamento iniziale di due bottiglie d’acqua modificate, usate per fumare il crack. Un chiaro segno del consumo assiduo di cocaina. Droga che, come abbiamo riferito, il parroco acquistava con i soldi della Diocesi e con le offerte degli inconsapevoli fedeli, a volte anche onerose.

Reati gravi, quindi, quali appropriazione indebita, truffa e spaccio di droga, commessi da un soggetto che ha abusato del ministero sacerdotale per adescare le sue vittime, sia dal punto di vista sessuale che dal punto di vista economico.

Eppure, vista con gli occhi del comune cittadino, la scelta del patteggiamento ha di fatto ridotto la pena applicabile, assimilandola a quella di un rubagalline.

Effettivamente, la pena comminata di tre anni e otto mesi, peraltro annacquata dall’espiazione ai servizi sociali, affidato ad una comunità terapeutica, annulla di fatto la portata cogente del comando violato, trasformando un lucido manipolatore di inconsapevoli vittime in una persona malata da aiutare.

Senza volere entrare nella tematica della capacità di intendere e di volere, chi compie una scelta di vita, come quella sacerdotale, per poi infangare l’abito talare al fine di perseguire scopi abietti ed immorali, facendo leva sulla sensibilità delle persone e commettendo reati contro la persona e contro il patrimonio, non può e non deve avere la convinzione che tutto è risolvibile con un colpo di spugna,  pena la possibile emulazione delle gesta compiute.

Non sfugge alla nostra considerazione, tuttavia, che non sempre ciò che è legale è anche giusto. Il nostro codice di procedura penale prevede forme alternativa al dibattimento, nell’ottica di accelerare i tempi di definizione dei processi, e in tale ambito la cd. pena su richiesta delle parti, quale è il patteggiamento, è una di queste forme di giustizia veloce.

Non può, da questo punto di vista, censurarsi la scelta del legislatore di arrivare a smaltire il carico di ruolo e consentire di arrivare a punire i colpevoli di un reato in tempi certi e definiti. Tuttavia, rispetto ai reati commessi ed alla particolare qualità del reo, la pena comminata a don Spagnesi non sembra garantire la duplice funzione che la pena deve avere, quella rieducativa per il colpevole e quella di deterrenza, ovvero di monito e di esempio per chi voglia commettere reati simili, affinché non li commetta.

Michele Bartolo

Avvocato civilista dall'anno 2000, con patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 2013, ha svolto anche incarichi di curatore fallimentare, custode giudiziario, difensore di curatele e di società a partecipazione pubblica. Interessato al cinema, al teatro ed alla politica, è appassionato di viaggi e fotografia. Ama guardare il mondo con la lente dell'ironia perché, come diceva Chaplin, la vita è una commedia per quelli che pensano.