Canta con Kant, un successo. Nuove tecnologie, social media e filosofia.

di Pierre De Filippo-

Canta con Kant è stata un successo. Una manifestazione riuscita, organizzata da Scabec, che si è tenuta da giovedì 12 a domenica 15 al Teatro Ghirelli di Salerno e nel suo Parco Urbano dell’Irno posto alle sue spalle.

Un evento riuscito, che ha contato circa venticinque appuntamenti, tra lezioni, talk e concerti, e che ha avuto il merito di mescolare insieme filosofia e musica, dialoghi e monologhi, lezioni e leggerezze. Come sempre dovrebbe essere.

Non è mai facile riempire una platea e lo è ancora di più farlo in orari mattutini o pomeridiani a parlare certo non di temi agevoli o rilassanti. Ma che, volenti o nolenti, stanno caratterizzando la nostra vita e rispetto ai quali ciascuno di noi, sapendo di non sapere, dovrebbe interrogarsi.

Venerdì 13 alle 17 – al bando la scaramanzia – si è tenuto l’interessantissimo incontro col professor Francesco Paolo Adorno, ordinario di Filosofia Morale all’Università degli Studi di Salerno.

Il tema? Corpo, nuove tecnologie e social media. “Solo vivendo: memoria dei corpi, immaginazione del futuro”.

Che rapporto c’è, ci si è chiesti, tra il nostro corpo – fisico e psichico – le nuove tecnologie e, in particolare, i social media? Che messa così, è un po’ la domanda delle domande della nostra epoca. Perché i social media sono onnipresenti e del corpo abbiamo preso a curare solo l’esteriorità, la materialità, l’apparenza. Quando non ci schiantiamo con una macchina a tutta velocità contro un muro solo per compiacere i nostri followers. In quel caso, non c’è più corpo, non c’è più persona, non c’è più essere.

Ma non è solo questo: c’è tutto ciò che riguarda l’aspetto fisico, il doversi sentire adeguati perché perennemente giudicati, perché perennemente esposti. Una catena che rischia di trasformarsi in un tragico circolo vizioso.

Per tacere di quelle agorà virtuali – X (fu Twitter), Instagram, Facebook – che sono diventate il luogo prediletto degli haters, gli odiatori seriali, e di vigliacchi frustrati che celano la loro identità dietro finti nickname e coprono di insulti, cyberbullismo e body shaming chiunque gli capiti a tiro. Perché l’anonimato, si sa, eleva la rabbia a potenza. E fa venire fuori il peggio di ognuno di noi.

In questa sorta di giungla, di far west, di trionfo di Bakunin e della sua anarchia, dovrebbe arrivare la filosofia a fornirci quegli strumenti che, soli, potrebbero consentirci di padroneggiare correttamente i social media.

E non serve scomodare Kant, dice il prof, ed il suo imperativo categorico per ribadire la consueta frase secondo la quale “il problema non sono i social ma l’uso che se ne fa”.

Questa è una narrazione giustificatoria perché presuppone che il problema stia nel mezzo e non in chi lo gestisce, che il problema sia la possibilità di offendere, che è data dalla piattaforma, e non la rabbia che esprime chi la manifesta.

Ed invece non è così perché, come diceva Protagora, è l’uomo ad essere misura di tutte le cose e suo responsabile. È l’uomo che deve ricercare, nel proprio essere, quella pace e quella consapevolezza che, da sole, gli consentano di non vedere i social come uno sfogatoio ma, per esempio, come un modo rapido ed efficace di conoscere notizie, informazioni, curiosità.

L’uomo pilota la macchina e non viceversa.

Ed è sempre l’uomo che, attraverso la filosofia – che significa, semplicemente, ragionare sulle cose – deve ragionare su se stesso, sulla propria esistenza, sul proprio senso.

Due accompagnatori ideali, la filosofia per la psiche e i social per l’esteriorità, che possono aiutare l’essere umano a vivere meglio.

Lui, però, deve imparare a prendersi cura di sé.

 

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