Tra Hamas e Israele è di nuovo guerra
di Pierre Di Filippo-
È sabato 7 ottobre, molto presto, quasi l’alba quando Hamas – l’organizzazione terroristica che governa la striscia di Gaza – dà vita all’operazione “Diluvio al-Aqsa”. Il diluvio, beninteso, è di bombe, razzi e di distruzione.
A cinquant’anni dalla guerra dello Yom Kippur (6 ottobre 1973), quando gli israeliani furono colti di sorpresa dall’attacco egiziano e siriano perché impegnati in una delle più importanti feste nazionali, il mondo ritorna – come un dejà vu – nella stessa spirale di violenza e di morte. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di rappresentare i fatti, che non sono dati dal numero di bombe, migliaia, cadute ma da tutto ciò che c’è dietro, dal contesto, da ciò che ha determinato questo attacco.
In principio, fu l’Olp, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina che, col suo storico leader Yasser Arafat, aveva contrastato prima e dialogato poi con Israele. Dagli Accordi di Camp David del 1978 a quelli di Oslo del 1993, palestinesi e israeliani pareva potessero dialogare.
Gli opposti estremismi, però, hanno puntualmente finito col rovinare ogni percorso di pacificazione: l’omicidio di Yitzhak Rabin, Primo ministro israeliano, nel 1995 e quello di Yasser Arafat nel 2004 hanno lasciato strada libera ad Hamas.
Hamas nasce ufficialmente nel 1987 ma già negli anni Settanta aveva fatto parlare di sé. Nasce per dar voce a quell’estremismo che non accetta che Israele viva figuriamoci che possa diventare un interlocutore. Viene arginato prima ma poi – col sostegno dell’Iran sciita, degli Hezbollah libanesi e della Fratellanza musulmana – si impossessa della Striscia di Gaza nel 2006. Sunniti (Hamas) e sciiti insieme per un unico grande obiettivo: distruggere Israele.
Israele che oggi esprime il governo più a destra della sua storia, col Premier Netanyahu che, pur di rimanere al potere, ha stretto accordi con Smotrich e Ben Gvir che, a loro volta, non ammettono l’esistenza della Palestina.
Dunque, purtroppo gli ingredienti per arrivare a questo punto c’erano tutti.
Questa è la storia.
Poi c’è la cronaca. E la cronaca vede intere città israeliane bombardate. È bombardata Ashkelon, che si trova a pochi chilometri dal confine con Gaza, la cui barriera protettiva – che Israele aveva costruito a partire dal 1994 – è stata completamente divelta. Il muro non c’è più. Le foto delle emittenti internazionali che, passo passo, riescono ad arrivare mostrano scene di distruzione e di fuga. Donne, uomini e bambini che scappano dove possono, in cerca di salvezza.
A Sderot, quella che viene chiamata la “capitale mondiale dei bunker” proprio per la pericolosità della zona in cui si trova, le foto che giungono sono quelle di corpi coperti da lenzuola. Corpi morti. Immobili sotto il sole.
Mentre a Khan Younis, nella parte meridionale della Striscia, ci sono uomini che, in piedi, festeggiano su un carro armato israeliano ormai distrutto. Sventolano la bandiera della Palestina.
E poi ci sono gli ostaggi. Tanti. Non è ancora chiaro il motivo per cui Hamas li abbia presi. Per avere qualcosa in cambio? Difficile crederlo. Per torturarli, dando prova a Tel Aviv della durezza delle proprie intenzioni? Più probabile ma è ancora presto per dirlo.
Quello che è certo è che proprio sulla questione degli ostaggi – un po’ come Carter con i cittadini americani braccati in Iran subito dopo la rivoluzione khomeinista – il governo di Netanyahu si gioca tanto.
Che senso ha essere duri e puri se poi, alla prima occasione in cui serve, non si riesce a dimostrarlo. Intanto, ieri sera proprio Netanyahu ha invitato Lapid e Gantz, i leaders dell’opposizione, a formare un governo di unità popolare, d’emergenza.
I due ancora non hanno risposto.
C’è ancora un altro punto che va sottolineato, per quanto la guerra sia appena iniziata e le informazioni siano parziali e frammentarie: l’assoluta impreparazione dei servizi di intelligence israeliani, notoriamente i più equipaggiati e volpini al mondo. Né Shin Bet, i servizi interni, né il celeberrimo Mossad, i servizi esterni, sono riusciti ad anticipare le mosse di Hamas, che sarà anche sovvenzionato e armato ma non è che rappresenti proprio il massimo dell’eccellenza dell’industria bellica.
Haaretz, uno dei più importanti quotidiani israeliani, ha definito la gestione dell’attacco da parte dei Servizi “un fallimento”.
Nelle ultime ore, la ripresa israeliana c’è stata. La maggiore potenza, la migliore organizzazione, l’efficienza iniziano a farsi sentire e Tel Aviv risponde a morte con morte, a razzi con razzi, a bombe con bombe. È inutile fare ora la triste conta dei morti: speriamo si interrompano presto le ostilità ma già si può dire che si prevede una carneficina.
Da tutto il mondo sono arrivati, con grande tempismo, attestati di stima e di solidarietà verso tutto il popolo d’Israele. L’Italia, per bocca della Premier Meloni e del Ministro della Difesa Crosetto, hanno condannato l’azione di chi, Hamas, è considerata una organizzazione terroristica e null’altro.
È una guerra – alle volte fredda, altre, come questa, calda – che va avanti da troppo tempo. Non si giustifica nessun atto di guerra, nessun assalto, nessun lancio di bombe. Ma guai ad abbandonarsi all’idea che quel territorio sia destinato ormai a vivere di tensione.
La speranza è che a Gerusalemme Dio illumini le menti di tutti. Nella città delle tre religioni, il Dio di ciascuno illumini le menti e porti la pace.
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