Belli, ciao. La vicenda dei lavoratori della Magneti Marelli

di Pierre De Filippo-

La notizia ufficiale è stata data oltre dieci giorni fa, il 19 settembre per la precisione. La Magneti Marelli chiude il suo stabilimento di Crevalcore, in provincia di Bologna, mandando a casa tutti i suoi duecentotrenta dipendenti. Duecentotrenta famiglie che perderanno la loro fonte di sostentamento. La produzione verrà trasferita a Bari perché, dicono da Marelli, l’Italia rappresenta “un centro di rilievo in ambito ingegneria e ricerca e sviluppo così come un importante centro produttivo”.

Ma di cosa si occupa la Magneti Marelli? È un’azienda leader nel settore della componentistica plastica e alluminio di quel mirabolante macrosettore che oggi viene definito automotive.

Le macchine. Produce pezzi di macchine, in sintesi.

Controllata della Fiat e, quindi, in una botte di ferro, nel 2018, a pochi mesi dalla morte di Sergio Marchionne che ne aveva garantito la sopravvivenza, John Elkann decide di vendere Magneti Marelli alla CK Holding, società giapponese controllata dal fondo americano Kkr (lo stesso al quale stiamo cercando di vendere Tim).

Garanzie assicurate e sindacati entusiasti. Ricordiamo il periodo: era quello della melensa luna di miele tra il mondo del sindacato, CGIL in testa, ed il Movimento 5 Stelle, guidato dall’avvocato del popolo. Con Ilva, ad esempio, la CGIL era stata categorica: l’accordo sottoscritto dal ministro Calenda? Carta straccia, parliamo solo con Di Maio…

Ma tutelare la Magneti Marelli sarebbe stato importante, sia per la centralità del polo produttivo e in termini di occupazione ma anche perché in un mondo ultra-competitivo come questo garantire i nostri brevetti sarebbe stato indispensabile. Per questo esiste la Golden Power.

Invece, nessuno fa niente, nessuno se ne preoccupa. E la vendita passa in cavalleria.

A tracciare la sintesi di quanto accaduto negli ultimi tempi, ci ha pensato proprio l’ex ministro Calenda: “Marelli, al momento della cessione, aveva 43mila dipendenti, di cui 10mila in Italia; oggi ne ha 50mila e soli 7mila in Italia”; “Stellantis produce in Francia 1milione di automobili e in Italia 400mila”; “produce 7 modelli negli stabilimenti italiani e 15 in quelli francesi”; “in Italia ha 7.500 esuberi, in Francia zero”; “in Francia ha depositato 1239 brevetti e in Italia 166”.

La domanda con cui chiude è: dov’è il sindacato? Lo stesso che, con Marchionne e una produzione doppia, proclamava scioperi generali come se quello del manager abruzzese fosse il peggior turbocapitalismo.

La provocazione di Calenda è chiara: da quando Elkann ha comprato Repubblica – il principale giornale di sinistra – per la Cgil e per Landini è più importante non litigare con i nuovi editori che difendere i lavoratori.

Apriti cielo. Letteralmente apriti cielo.

Con un comunicato che esordisce con “Care compagne e cari compagni” – sic! – la Fiom Cgil informa i propri iscritti che, se l’On. Calenda dovesse andare in visita a Crevalcore, non lo farà da ospite gradito e come tale dovrà essere trattato. Perché, spiegano, chi ha offeso Landini, ha offeso i lavoratori tutti.

Proletari di tutti i paesi unitevi, c’è un fantasma che si aggira per Crevalcore: il suo nome è Carlo Calenda, verrebbe da dire.

Manco a dirlo, Calenda va a Crevalcore e, manco a dirlo, i lavoratori – gli stessi che rischiano di perdere il lavoro nel giro di poche settimane, gli stessi che rischiano di non avere più il pane a casa tra qualche tempo, gli stessi che, se vogliono sopravvivere, farebbero bene a trasferirsi in Francia, o a Bari – quei lavoratori, quegli stessi lavoratori, quelli che dovrebbero agire davvero uniti per difendere la fabbrica per cui lavorano e loro stessi, indietreggiano – come vedessero satana – all’arrivo del senatore di Azione. Lo evitano, fanno orecchie da mercante. Lui tenta di abbozzare un dialogo, un confronto. Ma l’ordine è stato chiaro, imperativo e non ammette deroghe.

Con Calenda non si parla.

Rispondono con l’unica arma che hanno, i compagni: intonando Bella ciao, contro quell’invasore nazifascista che era andato a rovinargli la giornata.

Ecco, quando l’ideologia e la logica d’appartenenza offuscano l’intelletto e la razionalità, quando le sovrastrutture mangiano le strutture, quando il mondo per cui lottare è sempre un altro perché per questo non serve sporcarsi le mani, verrebbe da dire, con cinismo, belli, ciao.

Per la cronaca, a Crevalcore è andata anche Elly Schlein. Lei è stata accolta da ovazioni e pacche sulle spalle. Sì, perché è andata lì come ogni leader di sinistra dovrebbe fare: dicendo che il vero problema è sempre quello morale e non portando alcuna soluzione concreta.

Bella, ciao.

Belli, ciao.

Saluti a casa.

 

 

 

 

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