La luce artificiale: l’evoluzione dalla torcia alla lampadina a “led”
L’uso della luce artificiale, con i suoi vantaggi e le sue molteplici funzioni all’interno di un ambiente (pubblico o anche più intimo e familiare), potrebbe sembrare, oggigiorno, apparentemente scontato o comunque un’argomentazione piuttosto superflua. L’impiego della luce artificiale e in particolar modo di quella elettrica è una consuetudine che vanta poco più di un secolo di storia. Prima dell’invenzione della lampadina, infatti, gli ambienti domestici ma anche pubblici venivano illuminati attraverso mezzi e tecnologie più rudimentali, bruciando combustibili fossili come oli e grassi animali attraverso l’utilizzo di torce. Nell’antico Egitto, ad esempio, vi era l’impiego di elementi di pietra scavati, al cui interno si versava il combustibile con un primordiale stoppino di cotone.

Nel periodo greco-romano assistiamo a una ulteriore evoluzione con l’impiego, oltre alle classiche candele, delle cosiddette lucerne: elementi concavi più elaborati realizzati in argilla contenenti olio con uno stoppino (tali oggetti potevano essere anche in rame).

Molti secoli dopo, a partire del 1700, si passò all’impiego delle prime lampade ad olio, durature nel tempo e versatili, che potevano essere trasportate comodamente da un ambiente all’altro, oppure fisse a mo’ di veri e propri lampadari. E’ della fine del ‘700, invece, l’invenzione della prima lampada a gas ad opera dell’ingegnere-meccanico scozzese William Murdock, la cui commercializzazione rappresentò un ulteriore passo avanti in ambito tecnologico.


Pochi decenni più tardi, quando ormai opifici, case private e soprattutto strade e viali di tante città europee erano illuminate dalle lampade a gas, il chimico-fisico britannico Humphry Davy ebbe una geniale intuizione che avrebbe stravolto definitivamente l’intera società: ipotizzò, infatti, di far passare energia elettrica attraverso un metallo, il platino, sotto forma di filamento sottile racchiuso all’interno di una sorta di lampada sottoposta parzialmente sotto vuoto, generando luce. L’oggetto necessitava, tuttavia, di miglioramenti poiché poco efficiente e durevole nel tempo.

Solo nel 1854 un certo Heinrich Goebel (di origine tedesca ma vissuto negli stati Uniti d’America), tra le sue tante invenzioni, perfezionò l’idea di Murdock con l’impiego di un prototipo di lampadina, al cui interno inserì, sottovuoto, un filamento vegetale carbonizzato che col passaggio di energia elettrica, diventava elemento radiante luce.

Pochi anni dopo, il progetto definitivo venne esposto nel suo negozio nel 1882. Qualche anno prima, intanto, anche un altro inventore e ingegnere elettrico, Alexandre de Lodyguine (russo ma vissuto poi in America), si era cimentato nella realizzazione di un corpo illuminante elettrico, presentando, nel 1872, il progetto di una campana di vetro, con una bacchetta di carbonio sottoposta sempre a flussi elettrici. La sua sperimentazione venne applicata anche su alcune navi e per l’illuminazione di strade cittadine.


In questo periodo (seconda metà del XIX secolo) florido di inventive scientifiche e di numerose realizzazioni luminose, si aggiunge anche il contributo dell’inventore, medico e chimico inglese Josehp Wilsond Swan che nel 1878 brevettava una lampada ad incandescenza con filamento di carbonio e dell’americano Thomas Edison ideatore (sempre nello stesso anno) di una lampada con sottilissimo filamento di carbonio, ma più avanzata di quella di Swan, soprattutto per quanto riguarda il rendimento e la pulizia. La lampada tendeva, infatti, a sporcarsi rapidamente di fuliggine e inoltre consumava più energia elettrica di quella di Edison. I due inventori diedero vita ad un acceso contenzioso sulla paternità progettuale della lampada che si concluse positivamente con la creazione della società “Edison-Swan” nel 1883 (tra le più grandi fabbriche produttrici di lampadine al mondo).



Un ulteriore inventore, in questo caso italiano, si affacciava sulla scena della illuminazione moderna: il piemontese Alessandro Cruto.

Dopo aver ottenuto un considerevole successo all’Esposizione di Elettricità di Monaco di Baviera del 1880, in cui si attestava che la durata delle sue lampadine era nettamente superiore a quelle di Edison (con ben 500 ore di luce contro le 40 al massimo del concorrente americano), nel 1886, Cruto dava vita a una prima fabbrica di lampadine ad Alpignano. All’inizio del XX secolo gli inventori ungheresi Sandor Yust e Franio Hanaman sostituivano il sottile filamento in carbonio con uno in tungsteno.

Le prime lampadine a tungsteno erano già sul mercato mondiale nella prima decade del ‘900. Grazie al contributo del genio di ciascuno degli inventori succitati, nel giro di pochissimi anni, grazie anche alla sempre più evoluta tecnologia nel campo elettrico, il bulbo a incandescenza diviene un oggetto particolarmente comune sia negli ambienti pubblici che in quelli privati, meritando, secondo la rivista “Life”, il titolo di seconda invenzione più utile del XIX secolo.

Nel corso del ‘900 diviene, inoltre, fondamentale per gli ambienti, interni o anche esterni, la realizzazione di numerosi corpi illuminanti con un’attenzione rivolta sempre più al miglioramento della diffusione della luce con una generale riduzione dei consumi. Dalla realizzazione delle prime lampade “fluorescenti” nella prima decade del ‘900, (comunemente dette a neon) per l’illuminazione degli uffici, degli ambienti domestici ma anche per le insegne dei negozi, si passa poi all’introduzione delle “alogene” a metà del XX secolo (messe al bando 5 anni fa), per giungere, infine, all’ultima generazione delle lampade a “led” che hanno soppiantato quelle ad incandescenza. Nel corso del XX secolo, inoltre, fa capolino un nuovo stile di progettazione col “Lightin design”, ovverossia lo studio della luce artificiale o naturale con un maggiore approfondimento sulla conoscenza delle fonti luminose e lo stretto rapporto che esiste, in realtà, tra gli ambienti da progettare e la luce stessa.
Tra i tanti architetti-progettisti e designer cimentatisi nello studio della luce nell’ambito del design, come non citare Louis Comfort Tiffany con la sua elegante e colorata lampada Art Nouveau “Tiffany”, o Le Corbusier con la “Lamp de Marseille”, estrosa lampada da parete, o il “Projecteur 365” (una sorta di faro).

Ricordiamo ancora l’architetto del Movimento Moderno e del Design Organico Alvar Aalto con la sua scultorea e tondeggiante lampada a sospensione “A331” o quella a terra “A805” con paralume in metallo verniciato, la lampada “Eclisse” di Ludovico Magistretti dalla stravagante forma lunare, l’estrosa lampada “Pipistello” dell’architetto-designer Gae Aulenti e, infine, la lampada ad “Arco”, icona del disegno industriale italiano dei designer Pier Giacomo e Achille Castiglioni.


Messe al bando nel 2012, le lampadine a incandescenza sono state soppiantate alla nuova tecnologia a “led”, con un miglior risparmio energetico e con una maggiore luminosità. Paradossalmente, da qualche anno si assiste, tuttavia, a un ritorno, anche nel campo del design, delle lampadine in puro stile retrò dal filamento non più in tungsteno ma led che ricordano molto quelle dei primi prototipi di Edison e di Swan: illuminazione di alta qualità dal design discreto, semplice con attacco in allumino anodizzato e cordino in tessuto per richiamare perfettamente le vecchie primordiali lampade. Le lampade sono di varia grandezza e con forme che vanno dal tubolare all’ovale fino al globe.


