Femminicidio: il caso di Concetta Marruocco e del braccialetto elettronico non funzionante
di Michele Bartolo-
Venerdi notte Franco Panariello, di anni 55, uccideva la moglie, Concetta Marruocco, di anni 53, infermiera, con oltre quindici coltellate, il tutto davanti alla figlia minorenne di anni 16. Sin qui la cronaca dei fatti.
Così ricostruita la vicenda, il lettore subito immagina di ritrovarsi di fronte ad uno dei tanti, troppi casi di femminicidio che riguardano donne, mogli, fidanzate che vengono trucidate dalle stesse persone che dovrebbero amarle e proteggerle. Peccato, però, che in questa circostanza non solo c’erano stati dei precedenti, fatto anch’esso non inusuale in delitti efferati come questo, ma che lo stesso omicida, rispondendo alle domande del giudice e confermando la versione già data dopo il fermo, aggiungeva un terribile particolare, cioè quello di aver segnalato alle forze dell’ordine il malfunzionamento del braccialetto elettronico che aveva alla caviglia e che appunto, nelle intenzioni, avrebbe dovuto tutelare la vittima. Il cosiddetto braccialetto elettronico, infatti, è un sistema fatto di tre dispositivi.
Il primo viene applicato su una persona pericolosa, per decisione di un giudice. È il cosiddetto trasmettitore. Il secondo sta in casa di questa persona, è il ricevitore. Attraverso di questo, viene impostato un perimetro massimo di distanza dal quale la persona si può allontanare. Il terzo, infine, si trova alla centrale delle forze dell’ordine più vicina, a cui arriva l’allarme, se questo perimetro viene violato.
Nel caso in esame, quindi, essendo già stato condannato per maltrattamenti in famiglia, il Panariello aveva questo braccialetto alla caviglia ma lo stesso qualche volta non funzionava, aveva anomalie di collegamento e la notte del delitto non avrebbe suonato, anzi peggio avrebbe suonato troppo tardi, quando il Panariello era già a casa della vittima, dalla quale appunto il GIP aveva disposto l’allontanamento con l’obbligo di indossare il braccialetto elettronico.
Quello che lascia stupiti in questa vicenda è quindi come sia possibile che la tutela di una potenziale vittima dal suo omicida sia affidato ad uno strumento passibile di malfunzionamento e soprattutto condizionato dalla contemporanea presenza di variabili dipendenti dalla connessione internet o dalla corretta ricezione del segnale.
Ancor più grave, poi, se, come sembra, questo malfunzionamento sia stato segnalato, addirittura dal colpevole del delitto, senza che sia stata adottata alcuna contromisura.
Questo nuovo tragico delitto deve quindi indurci ad una profonda riflessione, non solo sulla efficacia degli strumenti di deterrenza e di allontanamento rispetto a soggetti che abbiano già fatto conoscere la loro pericolosità, ma anche e soprattutto in ordine alla tipologia di strumenti che poi in concreto vengono impiegati.
Si vuole dire, cioè, che non ci si può affidare supinamente a degli strumenti elettronici, in special modo se isolati e non affiancati da altre forme di controllo, la cui efficacia e sicurezza nel tempo finisce per avere l’effetto opposto rispetto a quello che ne ha consigliato l’impiego: il fatto, cioè, che la vittima si senta potenzialmente al sicuro e lo Stato pensi di aver svolto il suo compito di tutelare la vittima in conformità alla legge, mentre, nella realtà, il controllo si rivela del tutto insussistente o inattendibile e la vittima consegnata al suo carnefice, che può perfino prendersi la libertà di dileggiare la magistratura e le forze di polizia, affermando di avere segnalato il malfunzionamento dell’apparecchio, senza che nessuno sia intervenuto.
