Finissage della mostra IMPRESSIONE a cura di Gianluca Covelli a Roseto Capospulico

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Si è giunti al finissage della mostra IMPRESSIONE – Traccia temporanea, a cura di Gianluca Covelli, presso l’Antico Granaio a Roseto Capo Spulico, presentata il 6 Agosto da Rosanna Mazzia – Sindaco di Roseto Capo Spulico, Lucia Musumeci – Delegata alla Cultura, Gianluca Covelli – Direttore Artistico AnimasvevA, Giovanni Vatrella – Artista, Vincenzo Paonessa – Artista

L’Amministrazione Comunale di Roseto Capo Spulico anche quest’anno dedica un importante spazio al contemporaneo aprendo per il quinto anno consecutivo le porte dell’Antico Granaio alle esposizioni d’arte presentando la mostra bi-personale degli artisti Giovanni Vatrella e Vincenzo Paonessa, di origini calabresi ma operanti da più decenni tra Gorizia e Mantova, con opere disposte lungo un percorso espositivo coinvolgente e sensoriale.
Ad ogni artista è dedicata una delle due navate dell’Antico Granaio, con l’intento di creare un dialogo naturale tra i loro lavori, una narrazione per contrappunti che diventa percorso fatto più di echi e riverberi che di contaminazioni e confronti nel lasciare una traccia temporanea.

In mostra alcune delle opere più iconiche dei due artisti elaborate nel corso della loro carriera accanto ad altre progettate appositamente per l’ambiente espositivo, seguendo la modalità site-specific, allestite nell’edificio dal valore storico e identitario nel dare una buona “impressione” nel consegnare una nuova rilettura dell’ avito luogo.

L’impressione è il filo conduttore che accomuna la perfezionata ricerca artistica dei due maestri: impressione come «atto» ed «effetto» dell’«imprimere», di lasciare cioè una traccia, un’impronta su di un corpo mediante la pressione, e l’impronta stessa che vi rimane, di un dito sull’argilla, del piede sulla sabbia; anche il modo con cui rimangono impresse le lettere durante l’operazione di stampa con matrice a rilievo, di caratteri mobili. In tutte queste accezioni, il termine ormai divenuto desueto, viene recuperato nella sua peculiare funzione espressiva dagli artisti. Oggi si aggiorna prendendo in prestito l’uso che ha in etologia e diviene imprinting nel linguaggio corrente, cioè idea, opinione personale in merito a determinate congiunture suggerite da impulsi soggettivi spesso indefiniti, e della cui incertezza o scarsa consistenza il soggetto stesso si rende conto.

L’impressione come momento di riflessione e punto di partenza da cui entrambi gli artisti prendono le mosse per poi trasformare, in sottrazione o addizione, premendo dal recto o dal verso le superfici dei materiali che utilizzano per sviluppare lavori che evolvono verso forme completamente nuove e inaspettate, nel realizzare opere complesse.
Da qui l’«effetto» prodotto dall’impressione sui sensi, in modo particolare sul tatto, da condizioni esterne, che si ha dal contatto con un oggetto come viva sensazione fisica. L’effetto, l’impronta che la realtà esterna determina, col suo intervento diretto o indiretto, sulla coscienza; e quindi ogni forma di esperienza, conoscitiva o emotiva, in cui la coscienza appaia colpita dallo stimolo esterno, e presenti rispetto ad esso un
atteggiamento di passività – dare, ricevere, provare un’impressione di piacere, di dolore, di spavento – lasciandosi guidare dai sentimenti immediati, senza riflessione, in relazione al giudizio che su di essa viene formulato.

“AnimasvevA”, emblema che contraddistingue le diverse iniziative a carattere culturale del Borgo Autentico Calabrese, presenta un’importante mostra d’arte curata dal Direttore Artistico Gianluca Covelli, che vede esposte nella suggestiva location, ai piedi del Castrum Petrae Roseti, diverse opere di grande formato insieme a installazioni site-specific nel creare dei veri e propri ambienti, che testimoniano con la loro presenza l’avanzata ricerca degli artisti nel tempo; opere concepite e realizzate in un prolungato arco di tempo di oltre quarant’anni di attività.

“Ancora oggi nel XXI secolo nel visitare una mostra di arte contemporanea si prova un senso di smarrimento quando lo sguardo, di una parte del pubblico, incontra degli oggetti che compongono un’opera d’arte che sia essa una scultura o una pittura. Non si è ancora tutti abituati ad accettare il termine «contemporaneo», così spesso si prova un senso di delusione in quando non ci si trova di fronte a un’opera che si possa definire «tradizionale» e ci si interroga sul perché l’artista ha preferito plasmare un’opera che altro non è
che un insieme di oggetti prelevati dal mondo reale e montati assieme. Sotto quale nomenclatura è possibile racchiudere la forma d’arte avente, utilizzando un gioco di parole, degli oggetti come oggetto?

Ambedue gli artisti in mostra concentrano la propria attenzione su cose e oggetti appartenenti alla vita quotidiana di ognuno di noi, ma, che per abitudine vengono ignorate. Le persone, gli individui normalmente tendono a ignorare gli oggetti d’uso comune perché nella propria mente sanno che quelli si trovano al loro posto, nel posto giusto, ma se cambiano posizione, se viene cambiato l’ordine delle cose e l’oggetto non è
più collocato nel proprio posto originario allora cattura l’attenzione dell’essere umano. È questo che fanno Vincenzo Paonessa e Giovanni Vatrella col proprio operato artistico: interferiscono sul normale ordine degli oggetti, cercano altre soluzioni affinché questi siano in ordine.

Impressione è il filo conduttore che accomuna la perfezionata ricerca artistica dei due maestri: impressione come «atto» ed «effetto» dell’«imprimere», di lasciare cioè una traccia, un’impronta su di un corpo mediante la pressione, e l’impronta stessa che vi rimane, di un dito sull’argilla, del piede sulla sabbia;anche il modo con cui rimangono impresse le lettere durante l’operazione di stampa con matrice a rilievo,
di caratteri mobili.

In tutte queste accezioni, il termine ormai divenuto desueto, viene recuperato nella sua
peculiare funzione espressiva dagli artisti. Oggi si aggiorna prendendo in prestito l’uso che ha in etologia e diviene imprinting nel linguaggio corrente, cioè idea, opinione personale in merito a determinate congiunture suggerite da impulsi soggettivi spesso indefiniti, e della cui incertezza o scarsa consistenza il soggetto stesso si rende conto.

L’impressione come momento di riflessione e punto di partenza da cui entrambi gli artisti prendono le mosse per poi trasformare, in sottrazione o addizione, premendo dal recto o dal verso le superfici dei materiali che utilizzano per sviluppare lavori che evolvono verso forme completamente nuove e inaspettate, nel realizzare opere complesse.

Da qui l’«effetto» prodotto dall’impressione sui sensi, in modo particolare sul tatto, da condizioni esterne, che si ha dal contatto con un oggetto come viva sensazione fisica. L’effetto, l’impronta che la realtà esterna determina, col suo intervento diretto o indiretto, sulla coscienza; e quindi ogni forma di esperienza, conoscitiva o emotiva, in cui la coscienza appaia colpita dallo stimolo esterno, e presenti rispetto ad esso un
atteggiamento di passività – dare, ricevere, provare un’impressione di piacere, di dolore, di spavento – lasciandosi guidare dai sentimenti immediati, senza riflessione, in relazione al giudizio che su di essa viene formulato.

Giovanni Vatrella
Propone dei lavori che sono simbolo di ciò che non è dato vedere. Danno l’impressione dell’invisibile di ciò che, per essere puro spirito o comunque incorporeo, non si manifesta materialmente agli occhi, ma solo i sensi ne percepiscono l’esistenza. Le sue opere desiderano dare l’impressione di ciò che non si vede, ch’è
celato, non è manifesto, ma che ha una sua reale dimensione: esiste. Vatrella sviluppa un particolare interesse per la superficie diafana, per le velature trasparenti, nel mettere in luce ciò che abitualmente passa inosservato perché consueto, ordinario all’occhio indagatore che piuttosto rallenta nel cercare risposta al suo interesse desideroso di scoperte.
Da questa riflessione l’artista sviluppa una ricerca che ha al centro il superamento della bidimensionalità della tela coadiuvata da una particolare forma espressiva che si attua attraverso la dilatazione spaziale verso l’esterno, guadagnata tramite specifici accorgimenti tecnici che egli sfrutta per mostrarci in modo appannato degli oggetti selezionati ad hoc, nel rivelare il divenire oggettuale dell’opera. Lo spazio della tela non si limita alle sole due dimensioni, ne oltrepassa i confini forzandoli con l’ausilio di materiali deformanti,
che premono dall’interno verso l’esterno, non sono altro che oggetti selezionati dalla realtà e prelevati per la loro forma significante, funzionale alla sua poetica espansiva, dove l’opera pronta ad invadere lo spazio circostante, diviene ambiente, luogo tattile, esperienza fisica per il fruitore.

Vatrella, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, realizza delle opere che inglobano degli oggetti al loro interno iniziando a riflettere sulla carpenteria del supporto pittorico, il telaio in legno che aiuta a sostenere e a tendere la tela, esibito in modo celato dietro una diafana estensione di tessuto che ne delinea la forma rendendolo riconoscibile; variazione morfologica che viene ad assume un’architettonica valenza.
Una compiuta riflessione sulla forma geometrica del quadrato porta a realizzare una serie di opere che evocano i precedenti del suprematista Quadrato nero, 1913, di Kazimir Malevič (B. Corà). Le linee ed i contorni degli oggetti celati alterano la superfice piana dell’opera, hanno l’intento di rendere dialettica la superficie della tela, che in trasparenza induce il fruitore con lo sguardo indagatore alla lenta scoperta di vibrazioni cromatiche velate. S’instaura così un gioco luce/ombra che conferisce spesso all’opera un’illusione cinetica data dal disvelarsi delle forme in una lenta progressiva crescita dimensionale in
Untitled – Unique forms, 2021, che accentua la forte orizzontalità nel ripetersi dei moduli che svelano radiali costruzioni. Si tratta quindi di una forma artistica in bilico tra pittura e scultura che pone l’accento sull’oggettualità dell’opera legata al superamento del piano rappresentativo attraverso svariate declinazioni eseguita sempre con rigore formale e coerenza.

Vincenzo Paonessa
Inizia il suo percorso artistico concependo immagini complesse che richiedono, per la loro costruzione, l’uso del colore unito a elementi prelevati dalla natura insieme ad objet trouvé. Oggetti di uso comune trovati casualmente durante le sortite nei boschi calabresi che egli integra per le loro particolari caratteristiche all’interno dell’opera. Prosegue elaborando delle mappe che potremmo definire concettuali che presto divengono la sua cifra distintiva, il suo leitmotiv, formula che ricorre frequentemente nella sua produzione
artistica declinata in stati d’animo o concetti. Ricompaiono più o meno variate, di volta in volta, intrecciandosi l’una con l’altra come s’intrecciano nel processo drammatico i moti spirituali. L’attrazione per la cartografia astronomica lo spinge verso mondi lontani, verso una ricerca che ha come sfondo la riscrittura metaforica dell’esistenza intesa come un ponte sospeso tra l’essere e il non essere.

L’uomo in particolare vive drammaticamente questa condizione di sospensione in quanto individuo calato nell’esistenza. Egli avverte il richiamo del mondo Iperuranio, quella zona al di là del cielo dove risiedono le idee, in cui risiede la dimensione più vera dell’Essere, eterna, immutabile, e incorruttibile, ma il suo essere è inevitabilmente soggetto alla contingenza, al divenire, e alla morte. Da qui la riflessione di Paonessa sul
tema del viaggio che altro non è che la metafora del percorso che viene a compiersi lungo l’itinerario della vita stessa, dell’individuo calato nella comunità.

Questo tema autobiografico è ripreso nella rielaborazione delle carte fisico-politiche e tematiche, già pronte come ready-made, prelevate dalle sistematiche raccolte
di carte geografiche proprie degli atlanti scolastici e trasformate all’occorrenza come supporto ove ricama con filo rosso di cotone un percorso. Un tracciato che prefigura il suo libero vagabondare guidato esclusivamente dall’emozioni suggeritegli dalle immagini, che volta per volta recupera dai pensieri che lo avvolgono, e delle quali ci restituisce la sue ragionate impressioni.

Successivamente comincia ad imprimere sull’argilla minimali forme che riproducono linee secondo uno schema prevalentemente geometrico, quelle delle città ideali impresse a punta d’ago, qui l’artista compie una ricerca che parte da antiche stampe di recupero dove agisce con il ricamo per delimitarne i contorni. Plasma le sue opere nell’argilla operandovi una sottrazione che lo porta alla creazione di piccoli oggetti ceramici, poetiche e dall’estetica minimale, che raccontano microstorie intime legate al quotidiano,nobilitando il processo di lavorazione artigianale.
Gianluca Covelli

 

 

Redazione Salernonews24

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La Redazione di SalernoNews24