Cannes 2023: metamorfosi del Cinema
di Francesco Fiorillo
Si è chiusa l’ultima edizione del Festival, uno spettacolo che ancora celebra un’arte in piena trasformazione.
Il Cinema è cambiato: la pandemia, quella sorta di strano incubo che a tratti dimentichiamo di aver vissuto, ne ha mutato le regole. Se prima del Covid le sale erano il principale canale di fruizione dell’esperienza cinematografica, ora gli spettatori hanno imparato a prediligere la visione casalinga, complice la pratica del lockdown e l’immensa offerta delle piattaforme di streaming.
Con il parziale svuotamento dei luoghi di aggregazione, il Cinema ha quindi dovuto imparare ad arrivare al pubblico direttamente, senza usare intermediari, sfruttando spazi giornalistici e televisivi.
Anche le cerimonie di premiazione hanno dovuto adeguarsi a questi cambiamenti, perdendo in gran parte la loro funzione pubblicitaria e diventando primariamente luoghi di celebrazione ed acquisizione di status.
Questa 76esima edizione del Festival di Cannes sembra confermare questa tendenza: dopo tre annate scoraggianti (annullato nel 2020, disertato dal pubblico nel 2021, poi dai giornalisti nel 2022) la cerimonia è finalmente tornata a pieno regime…ma l’affluenza non è più quella di un tempo.
Non che l’offerta di quest’anno fosse poco interessante: anzi, era da tanto tempo che non si vedeva un livello così alto nei film in concorso. Pellicole belle e intense da tutto il mondo, e ospiti eccellenti, fra attori del calibro di Leonardo di Caprio e Robert De Niro, e registi iconici come Quentin Tarantino, Wim Wenders e Martin Scorsese.
Ma a parte lo scarso entusiasmo del pubblico, dispiace soprattutto notare come l’Italia sia ancora una volta rimasta a mani vuote, dopo la delusione degli Oscar 2023. Nonostante la presenza di tre pellicole nostrane, la giuria capitanata dal regista svedese Ruben Ostlund ha escluso dal palmarès i film di Nanni Moretti (Il sol dell’avvenire), Marco Bellocchio (Rapito) e Alice Rohrwacher (La chimera).
Film forse poco vendibili al di fuori del nostro paese (soprattutto la pellicola di Moretti), ma che meritavano di più. Resta la consolazione di aver ottenuta la visibilità di ben tre opere italiane sul palco prestigioso di Cannes, evento che non accadeva da anni.
A trionfare in questa edizione è stato invece il francese Anatomie d’une chute di Justine Triet, terza regista donna nella storia del festival ad ottenere la Palma d’Oro, dopo Jane Campion e Julia Ducournau. Un thriller psicologico piuttosto convenzionale, ma che la giuria ha preferito per la magistrale analisi (quasi una dissezione) del rapporto di coppia dei due protagonisti.
La regista francese, salita sul palco per ritirare il premio, si è lanciata in un’accesa critica verso la riforma delle pensioni del suo paese, colpevole di aver gravemente debilitato l’industria del Cinema. «Dedico il premio a tutti i giovani registi uomini e donne e quelli che non riescono a fare il loro film», ha dichiarato. Non si è fatta attendere la reazione del Ministro della Cultura francese, Rima Abdul Malak, che su Twitter si è detta “disgustata”.
Il Gran Prix della giuria è andato a The zone of interest, di Jonathan Glazer (regista celebre, oltre che per film di culto come Under the skin e Sexy Beast, anche per gli incredibili videoclip musicali realizzati per band come Massive Attack, Blur e Radiohead). Il film, girato ad Auschwitz, racconta la quotidianità del comandante del campo Rudolf Höss, e sua moglie Hedwig (realmente esistiti), una vita idilliaca all’ombra degli orrori dell’Olocausto.
Il premio come miglior attore è andato a Koji Yakusho per Perfect Days di Wim Wenders. L’illustre regista tedesco (autore, fra gli altri, dell’irrinunciabile Il cielo sopra Berlino) torna al lungometraggio di finzione, raccontando il mondo attraverso gli occhi semplici di Hirayama, addetto alle pulizie di bagni a Tokyo appassionato di audiocassette, libri usati e fotografie in pellicola. Una commovente celebrazione delle piccole cose della vita.
Da segnalare anche il Premio della Giuria a Les Feuilles Mortes di Aki Kaurismaki, una tragicommedia che mette in scena una surreale e difficile storia d’amore fra una cassiera di supermercato e un operaio alcolizzato, due persone sole che si incontrano nella notte di Helsinki. Il regista finlandese, famoso per Miracolo a Le Havre e L’uomo senza passato, ancora una volta offre lo sguardo più lucido della sua generazione sulla condizione moderna della classe operaia.
Fuori concorso è stato presentato l’attesissimo Killers of the Flower Moon, l’ultima fatica di Martin Scorsese, che a Cannes vinse la Palma d’Oro nel 1976 con Taxi Driver. La pellicola, ambientata nell’Oklahoma degli anni ‘20, racconta la vera storia di una serie di omicidi irrisolti, che videro come vittime diversi membri degli Osage, nativi americani delle Grandi Pianure. 9 minuti di applausi hanno salutato il ritorno del regista italo-americano, che non presentava un suo film nella Selezione Ufficiale dal 1986.
Standing ovation per un altro ospite d’eccezione: Roger Corman, uno dei registi più prolifici della storia del Cinema, autore di pellicole horror piene di eccessi come La piccola bottega degli orrori, e mito personale di Quentin Tarantino, che lo ha presentato sul palco ironizzando sul concetto di guilty pleasure: «Non ho mai capito il concetto di “piacere proibito”. Il piacere è piacere!».
A conclusione del Festival, la tradizionale cerimonia di chiusura, durante la quale è stato presentato fuori concorso l’ultimo lungometraggio animato della Pixar, Elemental.
Il Cinema è cambiato, dicevamo. Forse alla fine le piattaforme di streaming avranno la meglio. Forse alla fine le sale si svuoteranno del tutto e verranno chiuse, lasciandoci solo il ricordo di quel fremito che provavamo nel buio, rischiarati dalla luce dei proiettori. Vedremo film esclusivamente nella solitudine delle nostre case. Forse.
Ma quel momento non è ancora arrivato. Il Cinema è ancora partecipazione. Non smettiamo di sognare.
