L’archeo-psicologia evidenzia i rischi della psicoanalisi applicata al marketing.
L’archeo-psicologia rappresenta un tema affascinante e complesso, un crocevia tra la storia della psicanalisi applicata e le moderne tecniche di comunicazione. Questo termine, coniato per descrivere l’intersezione tra la psicanalisi e il marketing, ci porta a riflettere su quanto poco siano cambiati i meccanismi psicologici che influenzano il comportamento dei consumatori, nonostante l’evoluzione delle tecniche pubblicitarie.
Nel 1966, Rosser Reeves, nel suo libro “Reality in Advertising“, criticava l’idea diffusa che i pubblicitari americani utilizzassero tecniche freudiane per manipolare i consumatori. Reeves sottolineava come queste convinzioni fossero infondate, sostenendo che tali pratiche non facevano parte della realtà della pubblicità.
Ernest Dichter, psicologo austriaco, fu uno dei principali promotori della “ricerca motivazionale“, una metodologia che cercava di applicare la psicanalisi per scoprire le “motivazioni profonde” dei consumatori. L’idea era di utilizzare queste conoscenze per posizionare meglio i prodotti sul mercato. Tuttavia, i risultati furono spesso disastrosi, come dimostra il caso della Ford Edsel, un flop commerciale causato dall’erronea teoria che un’automobile potesse essere una metafora sessuale maschile.
Il fallimento della Ford Edsel non fu un caso isolato. La scuola di Dichter produsse altri clamorosi insuccessi, portando alla diffusione di direttive nelle multinazionali che mettevano in guardia contro l’uso delle sue tecniche. Nonostante ciò, Dichter trovò fortuna in Europa, dove le sue teorie continuarono a mietere vittime tra le aziende che le adottarono.
Tra le molte sciocchezze che circolavano sull’argomento, spicca il libro “The Hidden Persuaders” di Vance Packard, tradotto in italiano come “I persuasori occulti“. Questo titolo contribuì a creare il mito di una pubblicità “occulta” capace di manipolare i consumatori contro la loro volontà, un’idea che si rivelò completamente falsa.
Un esempio illuminante e volutamente paradossale fu l’articolo scritto da Giancarlo Livraghi trent’anni fa, dove ironizzava sulla “ricerca motivazionale” inventando due marche di sigarette immaginarie: “Makabro” e “Mamel”. Makabro, con sigarette nere e filtro dorato, avrebbe dovuto richiamare un’idea di sfida alla morte, mentre Mamel, con filtro color carne, doveva rappresentare un ritorno al seno materno.
Questi esempi assurdi erano utilizzati per sottolineare come le teorie motivazionali potessero portare a conclusioni ridicole e poco pratiche. Nonostante ciò, alcune delle idee più bizzarre si materializzarono realmente sul mercato, dimostrando la pericolosità di prendere alla lettera queste ricerche senza un adeguato approfondimento strategico.
Oggi, nonostante la psicanalisi non sia più vista come la chiave per svelare ogni segreto del comportamento del consumatore, l’importanza di comprendere le motivazioni profonde resta cruciale. Tuttavia, è essenziale adottare un approccio critico e pragmatico, evitando di cadere nelle stesse trappole che hanno portato a clamorosi insuccessi in passato.
Le ricerche possono essere utili, ma devono essere considerate strumenti di supporto e non soluzioni definitive. Come affermava David Ogilvy, citando (forse) Mark Twain: “Le ricerche sono come un lampione. Possono fare luce e aiutarci lungo la strada, ma non bisogna fare come l’ubriaco che ci si appoggia”.
L’archeo-psicologia ci offre uno spunto prezioso per riflettere sull’evoluzione del marketing e della comunicazione, evidenziando l’importanza di un approccio equilibrato e consapevole che integri le lezioni del passato con le sfide del presente.
