La leggenda del furto sacrilego nel Duomo di Salerno
Le leggende legate a un territorio, in linea generale, intrecciano fatti realmente accaduti con storie di pura fantasia, e sono parte integrante del patrimonio culturale di una città, o in generale di un popolo. Questa, in particolare, è ambientata nella città di Salerno, nella seconda metà del XVI secolo, un periodo storico di grande decadenza per il Capoluogo sempre più mutilato dei suoi antichi privilegi a partire dalla dominazione angioina in poi.

Sotto l’episcopato dell’Arcivescovo bolognese Antonio Marsilio Colonna (1574-1589), proprio a causa della miseria dilagante tra la popolazione, viene trafugato tutto l’argento conservato nella Cripta della Cattedrale di Salerno in prossimità della tomba del Santo Patrono. Non molto tempo dopo un tale Valerio Guadagno confessa di essere lui l’autore del grave sacrilegio e, pertanto, immediatamente rinchiuso all’interno di una cella sotterranea, in un luogo stretto, senza aria e né luce, infestato da scarafaggi, topi e formiche. Il povero Valerio muore dopo pochissimi giorni e il suo corpo, attaccato dai vermi, vede in breve tempo lacerata parte delle sue carni. La notizia della rapida morte del ladro si diffonde immediatamente tra la popolazione che imputa la sua violenta fine all’ira divina scagliatasi contro di lui.

Il corpo del povero Valerio viene esposto a monito per la cittadinanza davanti alla chiesa di Sant’Agostino: un’orripilante visione di un uomo che aveva sfidato la Chiesa in disprezzo dei sacri e preziosi ornamenti dedicati a San Matteo. La triste storia è descritta all’interno del libro dal titolo “De vita et gestis” all’XI capitolo “Alia miracula, quae ad haec usque tempora contingere”, il cui autore è lo stesso Arcivescovo Marsilio Colonna. La realtà, tuttavia, differisce dalla storia poiché il furto non fu operato dal povero Guadagno, che effettivamente non avrebbe mai potuto rubare, da solo, una refurtiva così corposa. In sostanza, la verità fu presto messa a tacere, le indagini relative al furto non furono mai approfondite e gli stessi arredi sacri non furono mai trovati. Nessuno avrebbe, in quel periodo, mai pensato che molto probabilmente il regista di tale delitto sacrilego era, in realtà, Nicola Grimaldi, Principe di Salerno. Con la refurtiva egli avrebbe pagato, con molta probabilità (usiamo il condizionale) a Filippo II di Spagna il prezzo della vendita della città di Salerno pari a 76000 ducati.

Lo stesso venne rateizzato in 6 pagamenti, dove l’ultimo, quello dell’aprile del 1578, corrispondeva proprio al periodo del furto. Coincidenza volle che probabilmente a causa del furto sacrilego, la miracolosa manna di San Matteo, che prodigiosamente compariva proprio sulle ossa del Santo Patrono, iniziasse a ridursi drasticamente! Tuttavia, in occasione della visita di alcune dotte persone provenienti dalla Sarmatia, territorio dell’Europa orientale corrispondente all’attuale Ucraina, venute a Salerno alla ricerca del sacro elemento per poterlo portare nel loro territorio, tale manna iniziò a ripresentarsi più in abbondanza tanto che ne richiese una porzione miracolosa anche Papa Gregorio XIII.


Ultima curiosità, risale esattamente a questo periodo una rappresentazione della città: veduta a volo d’uccello che ben ricostruisce l’organizzazione urbanistica di Salerno, parte integrante della raccolta di cento immagini di città che il monaco agostiniano Angelo Rocca (bibliofilo) volle realizzare dopo un viaggio fatto in Italia dall’Umbria alla Sicilia con l’intenzione di realizzare un Atlante mai pubblicato, custodita attualmente nella Biblioteca Statale Angelica di Roma.
