In uscita “Sacro minore”, intervista esclusiva a Franco Arminio. “Sacri sono gli abbracci che fanno luce nelle ossa”
Martedì 7 marzo esce in libreria “Sacro minore” (Einaudi Stile Libero Big, pp. 160 euro 16), ultima pubblicazione del poeta Franco Arminio, nativo dell’ Irpinia d’ Oriente e ideatore, tra l’altro, della Casa della Paesologia e del Festival “La Luna e i Calanchi” di Aliano.
Ho parlato con Franco al telefono, in uno dei suoi viaggi in treno e ho letto il suo libro in anteprima per voi.
“Il libro è un libro organico che sviluppa un tema che compariva in altri miei libri, c’ era un richiamo già nella Geografia commossa dell’ Italia Interna (Mondadori, 2013), in Cedi la strada agli alberi (Chiarelettere 2017), ne La cura dello sguardo (Bompiani, 2021).
Da allora fino ad oggi, per dieci anni, ho sviluppato il pensare nella dimensione del sacro”, dichiara Arminio.
Al di là del tema, ciò che caratterizza questo libro è la sua composizione in frasi brevi; lui ci narra di questa sua passione che si percepiva già nei primi libri di prosa quale “Viaggio nel cratere” (Sironi, 2003) e “Vento forte tra Lacedonia e Candela” (Laterza, 2008).
“Questo libro è un gemello di Cartoline dai morti (Nottetempo, 2010) proprio per la brevità dei versetti. Io non li definirei neppure poesie. Il testo si caratterizza per una omogeneità linguistica, lessicale, di intonazione”
Arminio mi parla di una “felicità della forma breve”, una peculiarità che quasi definirei patognomonica. Questo è il sogno svelato e realizzato dall’ autore, che richiama i suoi autori preferiti, quali Peter Handke, Kafka, Canetti.
Dei loro scritti dichiara di amare in modo particolare i libri aforistici ancor più che i loro romanzi.
“E’ un libro che si presta alla lettura in pubblico, anche accompagnata dalla musica; non è nato per la lettura silenziosa, ma una vera proposta contro la disumanizzazione e la banalizzazione della vita che oggi appare segnata dal consumismo e dalla globalizzazione. E’ un libro politico, anche se apparentemente arreso filiforme, spoglio , scarno.
Indica con molta nettezza la strada della meraviglia, dello stupore, del mettersi dentro la vita con grande slancio cogliendo nei minimi sussulti che sono proprio quelli che ci fanno compagnia e che possono regalarci intensità”.
In queste pagine ho ritrovato un vangelo dei versi e mentre andavo avanti mi sono chiesta quanto sia sacro Arminio e quanto sia profano il mondo che lo circonda.
“Il tentativo è quello di acciuffare in una frase un pezzo di mondo”
Ciò che e’ sacro, è per definizione separato dal mondo, potente o addirittura pericoloso; dal sacro si tende a stare lontani e a guardare con la consapevolezza della superiorità.
Avvicinare questi versi al lettore inevitabilmente significa profanarli, per il semplice gesto di avvicinarli alla vita quotidiana; ma in fondo ciò che e’ pro-fanum pur essendo fuori dal sacro, vive in funzione di esso.
Non c’è soluzione di continuità tra sacro e profano così come non vedo una netta separazione tra Arminio sacro e Arminio profano.
“Sacro è che non sei morto stamattina”.
Da questi versi emerge il sacro della poesia (“Sacra è la poesia,/ma solo quando è ladra,/quando ruba un poco di/miseria al mondo”) e il profano della miseria umana che ci travolge.
E’ l’esigenza di un popolo che vive tra una dissacrante gentilezza e una profana indifferenza.
“Sacri sono gli abbracci che fanno luce nelle ossa”
Nelle liriche si sussegue la sacralità della famiglia, dell’amore, la sacralità dell’ animale e della natura.
Che questo sacro sia minore riesco a leggerlo non nell’accezione negativa o nella misura di una grandezza, quanto in senso musicale, come di una tonalità che raccoglie la chiusura verso se stessi, in un mondo raccolto, quale quello della famiglia (“Sacro era mio padre e io non lo sapevo”).
La sacralità di una natura (“Sacro il vento piccolo del respiro”) che si fa poesia e di un ricordo che si delinea come una fotografia degli affetti più cari.
Un sacro minore che si staglia in un mondo Profano Maggiore.
“Sacro se ti metti in ginocchio anche se non credi a niente”