Superbonus o Supermalus
di Michele Bartolo-
Con il recentissimo decreto legge n. 11 del 16.02.2023, composto di soli tre articoli, il Consiglio dei Ministri ha sostanzialmente previsto che non é più possibile optare per cedere i crediti derivanti dai bonus edilizi né per richiedere lo sconto in fattura. Di cosa stiamo parlando?
I bonus edilizi sono di vario tipo ma, solo dopo l’emergenza pandemica iniziata nel 2020, l’allora Governo Conte, allo scopo di rilanciare l’edilizia, varò un provvedimento, unico tra i Paesi Europei, da tutti conosciuto come cd. superbonus, ovvero la misura con cui lo Stato finanzia i lavori di ristrutturazione per migliorare l’efficienza energetica di migliaia di edifici.
Deve evidenziarsi che la misura inizialmente nasceva con intenti condivisibili ma ha generato in pratica una serie enorme di rischi e di problemi, anche perché è stata una modifica normativa che, nel giro di tre anni dall’entrata in vigore, ha a sua volta subito correttivi, integrazioni e modifiche per almeno altre ventidue volte.
Basterebbe questa osservazione per comprendere come i danni siano stati superiori ai benefici, dal momento che una norma che viene interpretata e reinterpretata di continuo viene ad essere svuotata di contenuto, generando più confusione che soluzioni lineari e facilmente apprezzabili dal comune cittadino.
Ma di cosa si è trattato in particolare?
A prescindere dalla percentuale di sconto fiscale, che già nel 2023 l’attuale esecutivo ha ridimensionato dall’originario 110% all’attuale 90%, i costi dei lavori di ristrutturazione di un edificio, allo scopo dell’efficientamento energetico o del miglioramento sismico, potevano essere portati in detrazione fiscale nell’arco di dieci anni, secondo il vecchio sistema, oppure il committente, privato o condominio, che difficilmente avrebbe potuto avere una capienza IRPEF tale da scontarsi tutto il costo dei lavori o buona parte degli stessi, avrebbe potuto optare, alla luce della nuova normativa, per il sistema della cessione del credito o dello sconto in fattura. Entrambi i sistemi si basano sullo stesso principio, ovvero il valore della detrazione fiscale può essere ceduto a terzi.
La differenza principale è legata all’anticipo o meno della spesa per l’intervento; infatti con la cessione del credito si devono pagare i lavori per poi scegliere a chi rivolgersi per cedere il credito e recuperare la somma, mentre con lo sconto in fattura non si anticipa nulla, perché è il fornitore a farsi carico della spesa detraibile. Facendo un esempio pratico, l’impresa emette una fattura da 10.000 euro e sempre nella stessa fattura ti applica uno sconto di 10.000 euro.
La impresa poi, questi 10.000 euro li sconta dalle tasse che deve pagare allo Stato. A seguito dell’approvazione del superbonus e dei connessi sistemi di recupero delle somme attraverso il credito fiscale, vi è stato effettivamente un grande rilancio del settore edilizio, una spasmodica voglia di ristrutturare gli edifici anche da parte degli stessi committenti, convinti appunto dalla convenienza economica e dalla gratuità dei lavori. Inutile dire che sono sorte imprese come funghi, senza alcuna esperienza o competenza nel campo edilizio, sono stati fatturati lavori mai eseguiti, oltre a manifestarsi una nuova categoria di soggetti, i cosiddetti general contractor, ovvero delle società a cui il committente dà sostanziale carta bianca per occuparsi delle fasi preliminari all’ottenimento dei benefici, della scelta del direttore dei lavori e anche della stessa impresa appaltatrice.
Nessun controllo da parte del committente, quindi, che non viene tutelato neanche da quello che dovrebbe essere il suo rappresentante tecnico, ovvero il direttore dei lavori, perché anch’egli viene scelto dal general contractor. Si capisce, chiaramente, proprio dall’emersione di questa figura, che il grande vantaggio economico dell’ operazione superbonus va appunto a chi i soldi li vede o li recupera davvero, ovvero le imprese e i tecnici, i quali possono sviluppare computi metrici e preventivi a go a go, inserendo qualsiasi tipo di materiale o lavorazione, tanto i controlli se li gestiscono al loro interno, incassando poi dallo Stato l’intero beneficio delle detrazioni fiscali, con buona pace della stessa quantità e qualità dei lavori svolti, che ovviamente sono un rischio che rimane a carico del committente.
Ma, si dirà, lo Stato comunque avrebbe effettuato i controlli per verificare l’effettivo diritto ad ottenere i crediti acquisiti, anche rispetto ai lavori eseguiti. Certamente è vero, peccato però che l’eventuale revoca del beneficio fiscale, sino a otto anni dopo l’esecuzione dei lavori, vedrebbe il committente, in quanto beneficiario iniziale del credito, quale unico soggetto tenuto al pagamento dei costi (gonfiati) della ristrutturazione, oltre che delle conseguenti sanzioni per infedeli dichiarazioni sullo stato dell’immobile o sui materiali utilizzati.
Inoltre, sempre per il committente, c’è il concreto rischio di ritrovarsi con un lavoro fatto male. Alcune aziende senza scrupoli, per realizzare il maggiori numero di lavori, ben potrebbero avvalersi di materiali di bassa lega e livelli di manodopera scarsi e fuori norma. Il superbonus poggia sostanzialmente su due grandi errori: il primo era poter scaricare il 110% di quello che spendevi, perché se ovviamente a me rimborsano più di quello che spendo, se non sarò tenuto a controllare quanto spendo, non mi interessa: tanto lo Stato rimborsa. Questo ovviamente ha prodotto una serie di conseguenze, tra cui quella che i costi dei materiali sono lievitati in modo esorbitante e che la bolla piano piano si è gonfiata. È la ragione per la quale il nostro Governo era già intervenuto portando il bonus 110% al 90% perché è ovvio che se io devo mettere un 10% di quello che sto spendendo sarò più accorto, più attento a guardare quanto spendo e a guardare se per esempio i prezzi non siano in alcuni casi lievitati senza motivo.
Ma la seconda e più complessa questione riguarda il fatto che il superbonus inizialmente prevedeva la possibilità che il credito che io avevo quando facevo i lavori nei confronti dello Stato potesse essere cedibile, a una banca, a un intermediatore finanziario, a un’impresa. Lo potevo cedere illimitatamente e, all’inizio, senza alcun controllo. Addirittura non era possibile, su crediti ceduti anche dieci volte, risalire a chi avesse generato quel credito. E’ chiara, quindi, la matrice populista della normativa del superbonus, non a caso aspramente criticata anche dal precedente Presidente del Consiglio, il Prof. Mario Draghi.
Si incentivano le ristrutturazioni, è vero, ma in realtà le paga tutte lo Stato e, non essendoci di fatto alcun controllo, i prezzi si gonfiano e si crea inflazione, con danno per tutta la collettività. Breve conclusione finale: il committente di un lavoro deve poter scegliere il direttore dei lavori e poi la stessa impresa appaltatrice che eseguirà il lavoro, come avveniva prima, non firmando alcuna delega in bianco né rinunciando a tutti i poteri e le facoltà di controllo, ivi compresa la gestione diretta dei costi, che è l’unica arma per garantirsi un intervento correttamente eseguito nei tempi e con le modalità concordate.