Una leggenda longobarda: l’amore tra Radimperto e Arabella
Questa antica leggenda racconta della vicenda di due giovani innamorati che pur abitando lontani, lui pisano Radimperto, lei pugliese di Taranto, Arabella, videro purtroppo consumarsi la loro disavventura amorosa proprio a Salerno. Siamo alla fine del periodo longobardo, al tempo in cui Gisulfo II (ultimo Principe a regnare a Salerno per ben 25 anni prima della venuta dei Normanni) dominava la città e i suoi territori. Particolarmente violento e di indole prepotente, tanto che la sua malvagità è al centro di una leggenda sulla disavventura di alcuni marinai pisani che trasportavano, nella loro nave, mercanzia proveniente dall’oriente, ma che a causa di una improvvisa tempesta dovettero approdare nel porto di Salerno.

Entrati in città i marinai vollero ringraziare il Patrono, San Matteo, per averli salvati dalla tempesta, ma l’avido Gisulfo, notando i ricchi doni offerti al Santo Patrono, dopo aver concesso loro il permesso di entrare in Cattedrale, trafugò la nave rinchiudendo i malcapitati all’interno delle carceri. I naviganti avrebbero ritrovato la nave e la libertà solo attraverso la cessione di un cospicuo numero di monete. Tra questi mercanti vi era anche un bel giovane dai capelli biondi, Radimperto, figlio del più ricco commerciante di Pisa, imbarcandosi sulla nave per uno scopo in particolare: raggiungere la propria amata, Arabella, figlia di un potente e ricco conte tarantino. I poveri marinai, vissero giorni di angoscia e terrore, all’interno delle carceri del Castello, legati alle catene e maltrattati, attendendo invano il ritorno di un marinaio che il Principe aveva inviato a Pisa per ottenere il corposo riscatto. Purtroppo, la famiglia di Radimperto non disponeva delle somme pretese, e pertanto il giovane venne addirittura trasferito in un’altra prigione con condizioni ancora peggiori, senza luce e piena di topi. Non vedendosi recapitare nulla, lo spietato Principe longobardo iniziò a spedire allo sfortunato padre di Radimperto, il suo orecchio crudelmente tagliato e un dito sul quale vi era l’anello con lo stemma di famiglia.

Intanto a Taranto, giunta voce dell’atroce storia dei malcapitati pisani a Salerno, la giovane Arabella senza perdersi d’animo e dopo ripetute richieste al padre, contrario alla sua partenza, lo convinse ad allestire una carovana di ben 15 uomini a cavallo, con i quali la fanciulla, travestitasi da uomo, avrebbe raggiunto la lontana Salerno, superando numerosi pericoli e attraversando le impervie strade. Finalmente raggiunta Salerno, dopo due mesi di viaggio tra numerose imboscate dei briganti e la perdita di alcuni uomini, il gruppo si accampò in prossimità della città sui colli di Giovi.

Vestiti da mendicanti, Arabella e i suoi uomini entrarono in città accolti in casa da un ricco signore salernitano parente del padre della fanciulla. Raggiunto l’ingresso del carcere, dopo aver corrotto alcune guardie con grandi somme di denaro, Arabella riuscì ad accedere all’interno della prigione dove sapeva essere rinchiuso il suo amore. Avvicinando la sua torcia per vedere Radimperto, con stupore e immensa pietà la fanciulla si accorse che del corpo del suo amore era rimasto ben poco: mancante degli arti inferiori, di un occhio e del braccio sinistro e con i suoi biondi capelli ormai ingrigiti, il giovane ebbe modo solo di accennarle un sorriso! Lo portò con sé a casa del signorotto parente del padre. Il loro nascondiglio non durò molto, di fatti la paura di essere scoperti dal Principe era tanta e per questo motivo Radimperto venne accolto all’interno del monastero di Santa Sofia (monastero nominato per la prima volta nel 1058 in un documento custodito nella Badia di Cava “ecclesia sancte sophie, que constructa est intra hanc civitatem secus plateam que pergit supter ecclesiam sancti Maximi”, mentre Arabella si rinchiuse nel monastero di Santa Maria Maddalena (la cui costruzione risale all’XI secolo per volere del Conte Sicone e apparteneva all’ordine francescano “monialium paenitentum” di Santa Chiara).
Le due strutture sacre erano molto vicine. Nel tempo Radimperto divenne frante Lazzaro dell’ordine di San Benedetto, mentre la fanciulla divenne suor Angela. Essi non ebbero più modo di vedersi alleviando il loro dolore solo grazie alle preghiere.

Ogni giorno, però, frate Lazzaro faceva suonare all’interno del chiostro di Santa Sofia una campanella, seguita da un ulteriore rintocco di campane provenienti da Santa Maria Maddalena, suonate da suor Angela. Ancora oggi nel centro storico, allorquando si sente un lontano rintocco di campane, è uso dire “A campanella dà Matalena…..”.
