L’Italia vira a destra: Giorgia Meloni a Palazzo Chigi
di Pierre De Filippo-
È andata come tutti s’aspettavano da un po’ e come i sondaggi prevedevano ormai da tempo: Giorgia Meloni sarà la prossima inquilina di Palazzo Chigi, la prima donna alla quale toccherà simil sorte. È una rivoluzione per l’immobile Italia, una rivoluzione che, però, porta con sé tutte le ambiguità di cui siamo capaci.
Una rivoluzione conservatrice, quasi restauratrice, come nella nostra tradizione.
Fratelli d’Italia è primo partito, con oltre il 26% dei consensi, staccando il Partito democratico che non arriva neanche al 20%; poi il Movimento 5 Stelle che, grazie soprattutto alla gratitudine meridionale per il Reddito di Cittadinanza, gli concede una bella rimonta.
Stenta la Lega, sotto quota 9%, appaiandosi a Forza Italia che, invece, tiene dal crollo.
Il Terzo Polo di Calenda e Renzi non sfonda e rimane sotto quota 8%: l’obiettivo di mantenere Mario Draghi a Palazzo Chigi quindi sfuma.
In coalizione col Pd, Verdi e Sinistra italiana riescono a superare la soglia di sbarramento e ad accedere in Parlamento mentre Più Europa, seppur per pochi decimali, rimane fuori: Emma Bonino lascia Palazzo Madama.
Paragone e De Magistris rimangono ampiamente sotto quota 3%. Per loro le porte del Parlamento restano sbarrate.
Questo, in sintesi, il quadro della situazione.
Ora, però, non c’è tempo da perdere: entro metà ottobre le Camere si saranno insediate e il governo dovrà essere nato. Nel frattempo c’è da varare la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanze che, probabilmente, verrà scritta a quattro mani tra il governo in carica ed il prossimo, in vista della legge di bilancio.
Consigli europei discuteranno di guerra, price cap, legge sugli extraprofitti e invio di armi. Il caro bollette va tenuto sotto controllo, l’inflazione mitigata per quanto possibile e la Meloni – che si porta dietro, giustamente direi, tutto lo scetticismo e l’ostilità delle altre cancellerie europee – dovrà iniziare a discutere con la Commissione e con Ursula Von der Leyen.
Due i temi di principale interesse: le scadenze del Pnrr – rispetto al quale speriamo a nessuno venga in mente di proporre qualche astrusa rinegoziazione – e l’azione, sempre più incisiva, della Bce sui tassi di interesse.
La Meloni dovrà essere brava, prudente e anche il più silenziosa possibile: per intenderci, dire che “la pacchia è finita” rischia di essere una triste verità. Per noi, però. Quindi lasci i mercati tranquilli e cerchi di smussare le spigolosità che l’hanno accompagnata.
Il voto al Parlamento europeo a favore degli Orbàn e dei Kaczynski farà discutere e parlare ancora e sarà sempre lei a dover dimostrare di mantenere la barra dritta. Dovrà semplicemente fare, ora che ha l’onore e l’onore di farlo davvero, l’interesse degli italiani.
Si apre una partita di grande interesse e curiosità, quella dei ministri.
Il tracollo della Lega impedisce a Salvini di chiedere il Viminale e non è detto che Giorgia non ci mandi il suo fidato Crosetto.
Per gli Esteri segnatevi Giulio Terzi di Sant’Agata; per la Giustizia Carlo Nordio.
L’Economia è ancora un rebus: Tremonti o un tecnico?
E La Russa? Alla Difesa?
E Lollobrigida andrà davvero alle Infrastrutture?
Previsioni, divertissement, giochini innocenti.
Ma c’è una domanda che irrompe negli interrogativi più intimi di tutti noi: dove si piazzerà Silvio Berlusconi? Davvero sullo scranno più alto di Palazzo Madama. Lui lo chiederà, non c’è dubbio. E ce ne sono pochi sul fatto che non verrà accontentato, specie se i suoi senatori risulteranno determinanti. La politica rimane comunque un do ut des.
Vox España, CC0, via Wikimedia Commons
