La suprema ipocrisia e l’inchino ai due nuovi feticci.
di Giuseppe Esposito
Vi sono parole il cui destino appare assai bizzarro. Esse nascono circondate da un’aura prestigiosa e sono usate per esprimere concetti alti e nobili. Poi, nel corso del tempo, il mutare della realtà le svuota dei significati originari e dà loro una luce completamente diversa e spesso assai ambigua.
È il caso di due parole oggi assai abusate nel linguaggio comune ed in quello politico. Esse sono “Atlantismo” ed “Europeismo”.
Oggi, dietro lo schermo da esse costituito si nascondono spesso coloro che intendono ingannare il prossimo e giustificare condotte, altrimenti censurabili, errate o dannose.
Quei due termini hanno indicato la fedeltà a due concetti assai nobili. Il primo indicava la fedeltà ad una alleanza, la NATO, nata nel secondo dopoguerra per far fronte ad una ideologia che aveva portato interi popoli ad essere soggetti ad una brutale dittatura, come tutti i paesi che gravitavano nell’orbita sovietica. Il secondo incarnava, invece, l’Europa libera e democratica, nata dal sogno di Altiero Spinelli confinato a Ventotene dal regime fascista.
Per quanto riguarda poi l’Italia, essa aveva un motivo di riconoscenza verso gli Stati Uniti per l’aiuto dato al nostro Paese per risollevarsi dalle misere condizioni in cui cinque anni di guerra lo avevano precipitato.
Ma quando alla fine degli anni Ottanta l’Unione Sovietica si dissolse, gli Stati Uniti ritennero di aver vinto la guerra, definitivamente.
In un primo momento, grazie a Gorbaciov, ci fu un tentativo da parte di Bush senior di stabilire rapporti distesi con quel che restava dell’impero sovietico. Gorbaciov non si oppose alla riunificazione della Germania, ma chiese come contro partita che la NATO non si avvicinasse ai confini russi. Gli americani accettarono, sebbene la cosa non fu oggetto di un vero e proprio trattato. Ma poi, mano a mano, quell’impegno fu disatteso.
Una testimonianza di quel che accadde è stata resa in alcune interviste ed in un libro dall’ex ambasciatore italiano in URSS, Sergio Romano, che ben conoscela realtà della Russia.
A proposito dell’abbandono della politica del dialogo verso la nuova realtà che prese il posto dell’URSS, Romano afferma che ad un certo punto, le elites politico-militari e diplomatiche americane decisero un cambio di registro, poiché esse avevano bisogno di un nemico per giustificare la loro politica delle armi ed alimentare così la loro principale industria che è quella delle armi. Fu cosi deciso cheil nemico fosse la Russia, prima di Eltsin ed oggi di Putin.
Fino allo scoppio della guerra in Ucraina, anche l’ambasciatore Romano era convinto che la condizione indispensabile per la pace era la neutralità dell’Ucraina. Tuttavia, nel giudicare che tale condizione potesse essere sufficiente, egli aveva sottovalutato la politica degli Stati Uniti.
In virtù di tale politica imperialistica ed aggressiva, la Nato, sotto il loro diretto controllo, fu trasformata da alleanza difensiva in qualcosa di diverso. Sembrerebbe quasi che la NATO di oggi sia una sorta di organismo che lavora a preparare le guerre future. A capo di essa vi è un comandante, rigorosamnete americano, che può essere paragonato ad un capo di stato maggiore. Ora è ben chiaro a tutti che la missione di un capo di stato maggiore sia quella di preparare la guerra. Ma per questo occorre che sappia su quale terreno sarà combattuta e contro di chi. Questo aspetto è stato messo in chiaro dai vertici di oltreatlantico: il nemico è la Russia.
Dunque l’atlantismo, alla cui fedeltà ci eravamo votati, è oggi ciò che prepara la guerra e noi, che ci dichiariamo eternamente fedeli a quel concetto, ci ritroviamo invischiati in un meccanismo che ci spinge ad ignorare anche i fondamenti della nostra Costituzione che respingono la guerra come strumento di regolamento delle vertenze internazionali. E ci ritroviamo anche della libertà di dissentire.
Si vede bene quindi come i richiami alla fedeltà atlantica siano oggi ipocriti e spingano solo ad inchinarci ad un feticcio vuoto dei suoi significati originari e ad accettare la logica della guerra senza nessuna possibilità di scelta.
Ora, non mi sembra che questa sia la condizione migliore per vivere in un’alleanza. Così configurata, più che di alleanza, bisognerebbe parlare di sudditanza ad un meccanismo perverso che è diventato nemico degli equilibri e della pace nel mondo.
Quanto al secondo termine, quello di “Europeismo”, anch’esso ha subito una involuzione negativa.
La sua nascita risale al periodo in cui i totalitarismi in Europa erano ancora nel lor pieno vigore ed è legata al cosiddetto Manifesto di Ventotene, documento elaborato da un gruppo di confinati dal regime fasista sull’isola di Ventotene. L’anima del manifesto ed estensore dello stesso fu Altiero Spinelli aiutato da Ernesto Rossi. La scrittura del manifesto risale al 1941, ma la sua prima pubblicazione avvenne nel 1944 ad opera di Eugenio Colorni.
Alla fine della guerra, nei primi anni Cinquanta, le idee del Manifesto cominciarono a far presa su tutta una serie di intellettuali e politici europei fra cui Helmuth Khol, François Mitterand, Jean Monnet, Rober Shumann, Konrad Adenauer, Paul Henry Spaak e molti altri. Grazie ad essi si cominciarono a stipulare i primi trattati di collaborazione tra i deversi stati europei, fino a giungere a quella che oggi è l’Unione Europea, o più brevemente la UE.
L’unione degli Stati Europei aveva come fondamento quello di creare una comunità di stati basata su principi quali la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, il rispetto dei diritti, della dignità umana, della solidarietà e della protezione di tutti.
Il processo avviato doveva avere come fine quello di creare gli Stati Uniti d’Europa, che avrebbero avuto come riferimento i nobili principi testé enunciati. Ma esso ha subito una battuta d’arresto a partire dai primi anni Novanta, parallelamente, dunque, all’involuzione della natura della NATO.
In quel periodo, dopo la scomparsa dell’URSS, fu deciso, dietro ispirazione americana, di includere nella UE e nella NATO anche la maggior parte dei paesi dell’ex Patto di Varsavia. Si sono cioè ammessi nell’unione, paesi che mancavano assolutamente dei requisiti necessari, a partire dalla democrazia. Ma la scelta fu fatta essenzialmente in funzione antirussa, dato l’orientamento politico americano.
Nel frattempo e nello stesso periodo vi fu l’affermazione del Neoliberismo e del Mercatismo, orientamenti condivisi anche dai paesi aderenti alla UE e, conseguentemente, alcuni dei più importanti principi del progetto originario, quali la solidarietà, la protezione per tutti, ‘uguaglianza, furono mandati in soffitta.
Le conseguenze dunque dell’involuzione dei due concetti, una volta nobili, di Atlantismo e di Europeismo sono, oggi, sotto gli occhi di tutti.
I paesi europei sono pesantemente coinvolti in una guerra voluta da Washington e sono stati costretti a seguire le direttive americane anche nell’applicazione delle sanzioni alla Russia, senza prima valutare le conseguenze che esse avrebbero avuto sugli stessi paesi, essenzialmente quelli europei. Ma quelle conseguenze non gravano allo stesso modo su tutti i partecipanti alla UE. In seno all’unione, vi sono paesi che si sono avvantaggiati pesantemente della situazione legata alla carenza di gas e petrolio ed altri che pagano conseguenze assai gravi e che rischiano davvero una catastrofe economica e social. Tra questi evidentemente l’Italia. Eppure l’ipocrisia generale, il pensiero unico imposto da oltreoceano ed a cui la maggior parte dei rappresentanti dell’informazione si sono conformati, impedisce ogni manifestazione di dissenso. Oggi, chiunque osi avanzare dubbi sul modo di stare nell’alleanza ed in seno all’Unione Europea è immediatamente trattato da traditore e accusato di collusione col nemico.
Insomma, siamo piombati nel pieno di un regime che ha soppresso una delle libertà fondamentali di una democrazia, cioè la libertà di pensiero e di espressione. Ci viene imposto l’obbligo di aderire supinamente a qui due concetti di atlantismo e di europeismo che nel tempo hanno perso ogni valenza positiva. Ci deve inchinare a due feticci la cui presenza impedisce di cercare una via pacifica al conflitto in corso e di costruire serenamente il nostro futuro.
Mai negli ultimi settanta anni questo futuro è stato così incerto. E nessuno che trovi il coraggio di ribellarsi allo stato delle cose.
Sembra che l’Europa, tutta, sia in preda ad un cupio dissolvi ineluttabile.
