Con Gorbaciov si chiude il “secolo breve”
di Pierre De Filippo-
Era l’ultimo superstite di un periodo storico – il Secolo breve – che ha cambiato il modo di approcciarsi alla vita di quelle e delle future generazioni: figlio della crisi del ’29, dei totalitarismi e delle guerre, il Novecento – quello che va dal 1945 al 1989 – si è trovato schiacciato tra due mondi ideologicamente fortissimi: il capitalismo, il libero mercato, l’American way of life da una parte ed il comunismo, il collettivismo ed i carrarmati sovietici dall’altra.
Tutto ciò fino all’arrivo, a metà degli anni Ottanta, dell’uomo con la voglia sulla fronte: Michail Gorbaciov, il “giovane” e “rivoluzionario” ultimo segretario generale del PCUS, il potentissimo Partito comunista sovietico.
L’aveva capito, l’aveva capito bene Gorbaciov che, a differenza di quanto andava sostenendo il suo predecessore Breznev, gli anni Ottanta non sarebbero stati quelli nei quali il comunismo avrebbe definitivamente soppiantato il capitalismo ma, anzi, i suoi paradossi, le sue ambiguità, i suoi colli di bottiglia, i suoi vicoli ciechi stavano emergendo sempre con maggiore prepotenza.
Pareva essere stato Dio – o il destino, per i materialisti sovietici – ad aver piazzato Gorbaciov sullo scranno più alto del potere sovietico: morto Breznev nell’82, gli era succeduto Andropov, morto un anno e mezzo dopo e, dopo di lui, la stessa sorte era toccata a Cernenko.
Il destino voleva lui, Michail Gorbaciov.
Laureato in Giurisprudenza ed Economia, sin da subito le sue posizioni aperturiste avevano lasciato presagire la sete di novità e di futuro di cui il giovane membro del Politburo si sarebbe fatto promotore. Posizioni che tenne fermissime quando, come detto, alla morte di Cernenko divenne l’immagine dell’Unione sovietica nel mondo.
Disgelo, apertura, stato di diritto, trasparenza, ricostruzione le parole magiche. Sintetizzabili in due che sono passate alla storia: perestroika e glasnost.
È lui il segretario che, nel 1986 a Reikiavik in Islanda, incontra Ronald Reagan – che aveva definito l’Unione sovietica “l’impero del male” – per discutere la riduzione degli arsenali nucleari sparsi in tutta Europa; ed è sempre lui che, l’anno dopo, ne firma il conseguente trattato.
Parole e fatti, promesse e azioni.
L’apertura all’iniziativa privata, il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, la caduta del muro di Berlino. Mai il mondo era cambiato così tanto in così poco tempo. E, soprattutto, mai il mondo era cambiato in meglio in così poco tempo.
Il Premio Nobel di cui fu insignito nel 1990 è stata la logica e naturale conseguenza di un adoperarsi continuo affinché il mondo fosse un posto migliore.
Poi, come sempre accade in questi casi, c’è l’appannamento: il tentato colpo di stato, la presa del potere da parte di Eltsin prima e di Putin poi, che ha modificato prepotentemente il percorso di democratizzazione della Russia e gli equilibri pacifisti mondiali.
La morte di Michail Gorbaciov oggi è un elemento simbolico importante: se ne va proprio quando la sua nazione – che forse è semplicemente il braccio armato di Putin – ha riportato la guerra in Europa.
Ecco, non basta passare alla storia, occorre anche entrarci dalla porta giusta, quella che Gorbaciov scelse decenni fa e che ha sempre portato avanti con coerenza.
E ora?
Ora torna da lei, dalla sua Raissa, che aveva perso ormai vent’anni fa e alla quale aveva dedicato il suo libro di memorie.
Ogni cosa a suo tempo. Storia della mia vita diventa, a questo punto, una lettura obbligata per chiunque voglia comprendere, dalle parole del protagonista, quello scorcio di storia che ha cambiato la storia.
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