Draghi alla resa dei Conte
di Pierre De Filippo-
Il momento di fibrillazione più alto, dopo tanti mesi di governo, è alla fine arrivato. Draghi avrebbe – il condizionale è d’obbligo – confessato ciò che da tempo ormai sottintendeva: e cioè che il suo predecessore, Giuseppe Conte, non gli sta proprio a genio e che, se potesse, se lo toglierebbe di torno con grande euforia.
I fatti sono ormai noti ma è bene sintetizzarli: il sociologo Domenico De Masi, un grillino della prima ora e anche dell’ultima, ha rilasciato più interviste e dichiarazioni nelle quali ha placidamente sostenuto che Beppe Grillo – l’elevato – gli avrebbe confidato che Draghi, il Premier, lo stalkererebbe per obbligarlo a isolare il capo del suo partito. Che tante rogne gli dà.
Conte, che non aspettava altro e che, dopo la scissione di Di Maio, necessita di un qualcosa di forte per riprendere quota e consensi, ha detto che se ciò fosse avvenuto davvero sarebbe “grave”, un termine che avrebbe usato più e più volte, sia dinanzi alle telecamere – e di questo c’è prova audio e video – e sia nella telefonata privata avuta con Draghi che, secondo i bene informati, non sarebbe stata proprio un successo, per usare un eufemismo.
Da Palazzo Chigi, dopo molte ore di chiacchiericcio, hanno smentito. “Mai chiesto a Grillo di estromettere Conte”, dice Draghi.
Però Conte ha chiesto e ricevuto udienza, lunga, da Mattarella e Draghi è rientrato in anticipo dal vertice Nato, dove pure aveva qualche impiccio da risolvere.
Ma, si sa, la politica italiana ha la priorità su tutto. Anche sulla guerra, sull’inflazione, sul caro bollette.
La vera domanda ora è: che cosa farà Conte? Secondo alcuni, ci sarebbe già una bella fronda interna, rappresentata dai ministri Patuanelli e Dadone ma anche dalla vicepresidente del Senato, la dolce Taverna, che vorrebbe uscire dal governo pur senza passare all’opposizione, dando nuova gioventù a quell’appoggio esterno che i comunisti concessero ad Andreotti oltre quarant’anni fa.
A questo punto – e volendo solo ragionare in politichese, che spesso è sintomo di interesse di parte e non del tutto – Conte dovrebbe strappare, per marcare la differenza con Di Maio, perché – come lui stesso ribadiva pochi giorni fa – “sono in tanti a chiedermelo”. Perché è l’unica cosa che può fare per riacquistare consenso.
Abbandonare il governo significherebbe anche riacquisire l’aurea delle origini: riprendere il figliol prodigo Di Battista, poter dire di aver lasciato le poltrone e, soprattutto, fare opposizione – costruttiva, propositiva, amichevole, come vi pare – per evitare l’estinzione.
Questa possibilità, però, a cascata se ne porta dietro almeno un’altra: con Movimento e Fratelli d’Italia fuori, Salvini avrebbe più di un problema – a pochi mesi dalle elezioni – a rimanere dentro. Sa bene quanto conti, in Italia, avere mani libere e pontificare e, dovesse rimanere impaludato nell’esecutivo, non potrebbe certo farlo o, comunque, non con la virulenza che vorrebbe.
E allora prende due temi, le droghe leggere e lo ius scholae, e li erge a motivi più che validi per far cadere il governo.
Certo, è il PD con le sue richieste a volerlo vedere morto il governo Draghi, lui semplicemente si permette sommessamente di far notare che, così, con queste proposte, non c’è futuro.
Ora, al netto di come ciascuno di noi possa pensarla su questi due temi, è ovvio che a Salvini non interessi il merito della questione. Se anche il governo avesse proposto un abbattimento delle tasse, probabilmente avrebbe storto il naso perché non era fatto nel modo giusto.
La verità è che, come Conte, ha essenziale bisogno di smarcarsi dal governo, perché, come Conte, non è un governista, è uomo dell’opposizione. È da lì che rinfocola il suo consenso.
Cosa succederà, quindi? Il fatto che Draghi sia tornato in Italia lasciando a metà il vertice Nato la dice lunga sulla delicatezza della questione.
Conte potrebbe strappare e ci si chiede come mai non lo abbia già fatto; le dichiarazioni di De Masi cadono a fagiuolo e, pur non volendo pensar male, forniscono all’ex Premier un assist al bacio.
Lì Salvini sarebbe dinanzi ad un amletico dilemma, scontentare l’ala governista (Giorgetti, Fedriga, Zaia) o scontentare parte del suo elettorato?
Ma è tutto molto fluido, in divenire.
