Il prezzo della Pace
di Pierre De Filippo-
“Preferite la pace o tenere il condizionatore d’aria acceso d’estate?”.
È categorico Mario Draghi in conferenza stampa, come sempre si dovrebbe essere in certi casi; perché – e questa è una cosa che noi italiani tendiamo spesso a non voler ammettere, ad esserle resiliente – tutto ha un costo, tutto ha un prezzo. Anche la pace. Soprattutto la pace.
Conviene quindi mettere ordine in ciò che è successo ultimamente sui campi di battaglia, più per ragionare che per raccontare.
Il massacro di Bucha rappresenterà, io credo, uno spartiacque in questa kafkiana guerra: un po’ come Srebrenica per il conflitto jugoslavo, Bucha è il punto di non ritorno, quello dopo il quale una guerra – che, spiace dirlo, ha le sue regole, le sue dinamiche – si trasforma in un crimine contro l’umanità. In un crimine contro l’uomo.
L’ambasciatore russo su questo è scivolato in un’antipatica gaffe: “i morti non c’erano prima che noi arrivassimo”; poi si corregge: “…prima che ce ne andassimo”.
Sarà Freud, sarà la stanchezza, sarà la frustrazione per non essere riusciti ad indirizzare il conflitto nella maniera che il Cremlino si attendeva. Sarà la primavera.
Ma Bucha è stata anche il nuovo soggetto di una nuova disputa tra negazionisti filoputiniani e “creduloni” filoucraini.
L’ormai celeberrimo professor Orsini ha detto che “un bambino può crescere bene sotto una dittatura. Meglio una dittatura che una guerra…”.
Verrebbe da chiedersi se questa massima – che Kant non avrebbe condiviso, sostenitore qual era della pace perpetua – sarebbe valsa se quel bambino, di Orsini, fosse stato il figlio, il nipote, il cugino.
La libertà, quindi, non è più un ideale verso il quale tendere? O guerra o dittatura? Non ci sono altre scelte?
Una scelta c’è ed è quella che ci ricordava il Premier Draghi: la pace. Impegnativa, difficile a raggiungersi, difficile da conservare ma, per questi stessi motivi, vitale.
La pace è un moto, ci si impegna quotidianamente per garantirla; senza la pace c’è il caos, la morte, il vuoto.
Ma tornando più prosaicamente su ciò su cui ragionava Draghi, il Premier poneva un problema esistenziale a tutti noi: siamo davvero disposti – al netto delle pur ammirabili raccolte fondi, dei gesti di solidarietà spontanei, delle donazioni di cinque euro da telefono fisso, a fare qualcosa di tangibile, di “costoso” anche per noi?
Oppure, le nostre rimangono, come sempre, belle intenzioni, quelle di cui è lastricata la strada dell’inferno?
Abbiamo, questa volta davvero, l’occasione di dimostrare – come occidentali, si intende – che non siamo solo “leoni da tastiere” e che non ci limitiamo ad inviare armi, cosa gravosa ma necessaria, ma a fare tutto ciò che è in nostro possesso, anche qualcosa di estremamente piccolo e quotidiano, per raggiungere la pace.
PS: fa bene Draghi a non volere nuovi scostamenti di bilancio – ieri è stato presentato il DEF, il Documento di Economia e Finanza – e a voler evitare nuovo indebitamento? Per me sì, finché le risorse si trovano in altro modo, è giusto evitare un effetto domino che ci porterebbe, economicamente, ad una posizione di grande precarietà.
Non sarà il governo dei migliori, ma è certamente il migliore che poteva capitarci in questo momento.
