Il neoconformismo impera e miete vittime. Il caso di Alessandro Orsini, Professore LUISS

di Giuseppe Esposito

Se qualcuno si prendesse la briga di andare a cercare sul dizionario il significato di “conformismo” troverebbe la spiegazione seguente: “Abitudinaria, piatta, acritica adesione e deferenza nei riguardi delle opinioni della maggioranza e delle direttive del potere.”

Insomma essere conformisti, non è mai stato un titolo di merito. Ha sempre denotato una scarsa autonomia di giudizio, una mancanza di coraggio e di desiderio di indipendenza dalle opinioni prevalenti in seno alla società.

Le radici del conformismo affondano nella paura animale della solitudine di chi si ritrova fuori dal branco. Appare quindi evidente che la libertà di pensiero richiede coraggio, quel coraggio che permette di rendere esplicito il proprio dissenso contro quelle opinioni dominanti che tendono a ristagnare e ad impedire il progresso, l’evoluzione della società ed il suo adeguamento alle necessità storiche.

Oggi l’Occidente continua a dichiararsi libero e democratico, ma nel suo seno l’antico conformismo ha subito una involuzione. Si è prodotta una sua degenerazione verso quello che è stato definito il “politically correct”, espressione di un  pensiero unico che viene spesso imposto anche in forme piuttosto violente.

È il politicamente corretto un vero obbrobrio, un attentato alla libertà di pensiero ed una ignoranza dei processi della storia. Esso spinge a giudicare coi criteri dell’oggi gli eventi del passato nell’ambito di quella che viene definita la cultura della cancellazione o dell’annullamento. Una sorta di miopia intellettuale generalizzata. Alcuni associano questa nuova forma di conformismo ad una sorta di neopuritanesimo.

Altri ne evidenziano la criticità nel fatto che esso tende a ridurre i limiti entro cui è possibile esprimere liberamente le proprie idee. Anzi, questa forma di nuovo conformismo, il politicamente corretto, ha addirittura fallito in quella che era la sua funzione primaria, che era quella di pacificare le minoranze con la maggioranza del corpo sociale. Anzi ha conseguito il risultato esattamente opposto a quello scopo, fornendo nuovi e numerosi elementi di conflitto arrivando ad intravedere aggressioni e miniaggressioni dietro ogni scambio comunicativo da parte di coloro che esprimono opinioni non allineate al pensiero corrente. Chi si esprime in dissenso è immediatamente ostracizzato.

Gli esempi nella cronaca di ogni giorno sono numerosi. Tra i più recenti possiamo indicare quello del professor Alessandro Orsini, professore presso l’Università LUISS, il quale, durante una trasmissione televisiva, ha espresso una sua opinione, anche ben argomentata sulla crisi ucraina.

Orsini, uscendo fuori dai limiti angusti del manicheismo odierno, ha espresso una tesi sulla crisi in atto tra Russia ed Ucraina che si contrappone alla estrema semplificazione del pensiero unico rappresentata dall’assunto: “Russia mostro, Ucraina vittima”. Tesi che, se accettata acriticamente, impedisce di condurre una analisi più approfondita delle vere ragioni alla radice della guerra scatenata da Putin.

Certamente ai più, a quelli allineati al pensiero dominante la tesi di Orsini appare fastidiosa e provocatoria, ma non si può negare che essa abbia una sua ragion d’essere, nell’ambito della geopolitica di oggi. Il professor Orsini infatti, pur riconoscendo che la responsabilità oggettiva dell’aggressione ricade interamente su Putin, attribuisce quella politica all’Occidente.

Il suo assunto in sintesi è il seguente: “L’Ucraina sta alla Russia, come il Messico sta agli Stati Uniti.” Una proporzione che si giustifica alla luce del seguente quesito: cosa farebbero gli Stati Uniti nel caso che il Messico si alleasse con la Russia? La risposta per chi ha memoria della storia recente è facile: nel caso si verificasse una tale alleanza gli Stati Uniti interverrebbero direttamente in Messico, oppure, come è già accaduto in altri paesi dell’America Latina, provocherebbero la caduta del presidente, il suo omicidio e fomenterebbero una guerra civile tramite gli agenti ed i capitali della CIA.

I campioni, cioè, di democrazia, gli Stati Uniti, si comporterebbero, con ogni probabilità, allo stesso modo del dittatore russo. Non credo che vi sia qualcuno che nutra dubbi in proposito. Anche perché è già accaduto anche  in Paesi che non erano direttamente confinanti con gli States.

La pretesa di ridurre tale analisi geopolitica di Orsini all’assunto elementare già citato, cioè “Russia mostro, Ucraina vittima”, è profondamente sbagliato e nega la possibilità di esplorare la realtà. E di portare alla luce le cause vere della crisi in atto. Crisi dalle conseguenze imprevedibili e minacciose per la pace dell’universo mondo.

Invece di dibattere sulle tesi di Orsini è accaduto che il professore sia stato ostracizzato, impedendogli di tornare in televisione per discutere le proprie idee con qualcuno di diverso avviso sull’argomento. E questo non mi pare affatto un aspetto della democrazia tanto conclamata a parole.

Addirittura la LUISS, l’Ateneo in cui Orsini insegna, ha emesso un comunicato in cui si dissocia dall’opinione del suo stesso docente affermando di biasimare quelli che definisce “pareri di carattere personale che possono inficiare il valore, il patrimonio di conoscenza e la reputazione dell’intero ateneo”.

Siamo davvero alla follia, preda di un manicheismo di nuovo conio, di un conformismo che si oppone alla ricerca della verità.

Questo pensiero unico è davvero una barbarie che va combattuta in ogni modo. Senza un libero dibattito, infatti, si rischia di inficiare i principi stessi su cui poggia la democrazia, e si finisce per comportarsi come i tanto esecrati autocrati.

Qualche decina di anni or sono questa nuova forma di conformismo fu prevista dal filosofo Costanzo Preve che ha trattato dell’evoluzione del concetto di politicamente corretto verso una forma in cui esso assume la valenza di un principio primario, un valore alla base della politica occidentale.

Il motivo di tale evoluzione, o meglio sarebbe dire involuzione, è legata alla caduta del comunismo, resa plateale dalla caduta del muro di Berlino. Da quel momento in poi il capitalismo americano ed europeo non aveva più un nemico nell’Unione Sovietica che incarnava una visone del mondo alternativa, quale quella del socialismo e cominciò ad incanalare le sue energie e le sue spinte nell’alveo di una serie di battaglie culturali che ha avuto come esito la perdita di tutte le conquiste sociali, ottenute nel corso del Novecento, nel campo dei diritti sociali ed economici delle masse.

Il politicamente corretto sostenuto dal capitalismo ha suscitato e reso incandescenti quei conflitti già presenti, allo stato latente nella società. Con l’aiuto dei media asserviti al potere finanziario ha messo l’un contro l’altro bianchi e neri, uomini e donne, etero e gay, tenendo nell’ombra quel conflitto di classe che aveva attraversato tutto il secolo precedente. Secondo Preve, insomma, il capitalismo ha utilizzato il politicamente corretto come strumento per confondere le classi meno abbienti ed asservirle ancor più, spingendole verso una netta regressione verso condizioni simili a quelle del XIX secolo. Esso ha instaurato una sorta di teologia dei diritti umani intoccabili, l’americanismo e l’antifascismo, in una formulazione piuttosto vaga.

Su tali valori non si ammette discussione e ciò non fa altro che indebolire la democrazia. Questo modo di intendere il mondo, come diviso tra opposte fazioni, sulla base di valori intoccabili si esprime spesso in manifestazioni di spiccato manicheismo, spesso incomprensibili. Si pensi, ad esempio, all’iniziativa dell’Università di Milano Bicocca di abolire il corso del professor Nori su Dostoevskij, o all’idea balzana di escludere tutti i gatti russi da ogni manifestazione legata ai felini.

Eventi questi che ci fanno temere che la società odierna abbia imboccato decisamente una strada che porta verso un nuovo oscurantismo. Bisogna perciò raccogliere tutto il nostro coraggio e far sentire il nostro dissenso, da questa idea morbosa di società.

Giuseppe Esposito

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