Il fronte interno di Putin
di Giuseppe Esposito-
L’aggressione all’Ucraina da parte di Putin, non è stata una decisione improvvisa, viene da lontano. Già nel recente passato vi sono stati episodi che possiamo considerare come le prove generali, sul campo della sua politica di espansione. Si pensi all’annessione di fatto della Crimea, avvenuta nel 2014 o alla sua condotta nei riguardi di regioni quali la Transnistria, l’Abkazia e l’Ossezia. Prove condotte anch’esse fuori dai confini russi ed alla quali l’Occidente non oppose che una reazione assai flebile.
La ritirata precipitosa dall’Afghanistan è stato un altro episodio letto dall’autocrate russo come prova della debolezza occidentale e dunque un incoraggiamento ai suoi propositi di ritorno ad una Russia imperiale. Ma contemporaneamente, come ogni despota che si rispetti, il presidente russo non ha trascurato di curare il fronte interno, quello cioè costituito dai suoi oppositori.
Essi negli ultimi anni sono stati ridotti al silenzio e messi nella condizione di non poter nemmeno esprimere liberamente le proprie opinioni. Il caso, forse, più eclatante, quello in cui è culminata la battaglia sul fronte interno e quello relativo al caso Navalny.
Alexei Anatolievich Navalny è un attivista, politico e blogger russo di origini ucraine, ripetutamente arrestato e condannato per le sue posizioni antiregime. Mentre era in volo da Mosca a Tomsk per prendere parte alle elezioni locali in quella regione, fu avvelenato da agenti segreti russi. Riuscì a riparare in Germani dove fu curato. Al suo rientro in Russia fu arrestato appena sceso dall’aereo e incarcerato. Il suo arresto provocò numerose proteste ma segnò il culmine della repressione del dissenso ed un ulteriore giro di vite contro gli oppositori interni del regime.
Da quel momento in poi, la voce dei dissidenti non ha potuto più farsi sentire, se non debolmente ed in pochi casi quale quello dell’economista Grigory Javlinskij, a capo del piccolissimo partito Jabloko, piccolo ma di origini antichissime, ridotto oggi ai minimi termini con pochissimi iscritti, a causa del clima di terrore instaurato da Putin e che non ha nulla da invidiare a quello dei tempi di Stalin.
Di recente Javlinskij, a proposito dell’aggressione russa all’Ucraina così si è espresso:
“A coloro per cui la vita delle persone, russi, ucraini, non è indifferente, voglio dire questo: bisogna contrastare la guerra con tutte le forze e spiegare la cosa più importante: questa guerra diventerà un suicidio per la Russia. Sarà una tragedia per l’Ucraina. Ma per la Russia, per lo Stato, nella sua forma attuale, sarà la fine.
La presa di posizione aperte contro la guerra potrebbe il germe da cui sboccia di nuovo la capacità delle opposizioni, oggi silenti, di far sentire ancora la loro voce.
Purtroppo dopo anni di informazione di regime, non sono pochi i russi favorevoli al regime e persino alla guerra di Putin e per i quali coloro, che non appoggiano la politica di aggressione del presidente, sono stigmatizzati come traditori della patria.
Tuttavia, sulla spinta degli avvenimenti recenti, il numero di coloro che sono disposti a scendere in piazza per far sentire la loro voce sta crescendo, nonostante il rischio di essere arrestati come pure numerosi sono coloro che hanno firmato petizioni on line contro la guerra. Si tratta, certo, ancora di una minoranza che ha dovuto subire sulla propria pelle la violenza di una repressione che si preannuncia sempre più dura in funzione dell’andamento della guerra assai diversa dal blitzkrieg immaginato da Putin. Il rischio di rimanere impantanati in Ucraina cresce di giorno in giorno. Nonostante ciò, manifestazioni si sono tenute a Mosca, a San Pietroburgo ed in altre quarantaquattro città russe. Gli arrestati si contano ormai a migliaia, e le condanne hanno cominciato a fioccare numerose.
Kitill Gonciarov, esponente a Mosca del partito di Navalny, lo Jabloko, è stato condannato a dieci giorni di carcere. Al direttore della Fondazione di San Pietroburgo “Non invano” sono stati infliti venti giorni di carcere.
Il portavoce di Putin, Dimitri Peskov, ha affermato che i cittadini russi non hanno, per legge, il diritto di manifestare o di esprimere le proprie opinioni al di fuori dei ristretti limiti previsti dal governo. Ma, nonostante i rigori della repressione, in un solo giorno la petizione on line, contro la guerra in Ucraina, lanciata dall’attivista per i diritti umani Lev Ponomariov, ha raccolto in un sol giorno più di quattrocentomila firme. Sui social le proteste contro la politica di Putin sono sempre più numerose e molti sono i volti noti della televisione russa che hanno preso posizione contro l’aggressione all’Ucraina. Tra di essi vi sono il noto conduttore Ivan Urgant, il giornalista Maksim Golkin, la rockstar Zamfira Romazanova, il cantante Valery Melodza sempre in testa alle classifiche dei dischi più venduti. Persino la figlia di Peskov, il portavoce di Putin, Lisa Pskov si è schierata contro la guerra pubblicando una storia su Instagram. E la figlia di Elsin, il predecessore di Putin al Cremlino si è apertamente dichiarata contro la vile aggressione all’Ucraina.
Fino ad ora la polizia è riuscita a tenere il dissenso entro limiti contenuti, ma sotto la cenere cova una brace che prima o poi rischia di appiccare un incendio al paese. Soprattutto ora che le sanzioni commibate dai paesi occidentali alla Russia cominciano a far sentire i propri pesanti effetti, con una efficacia insperata. La Borsa di Mosca è chiusa per eccessi di ribassi, il rublo ha perso in un sol giorno più del venti per cento del suo valore e le file davanti alle banche dei cittadini che intendono ritirare i propri risparmi, nel timore del fallimento delle stesse, diventano sempre più lunghe.
Anche gli oligarchi che hanno da sempre sostenuto Putin hanno subito perdite per centinaia di milioni e la loro fedeltà al despota comincia a vacillare.
Ma il pericolo maggiore per l’autarca rischia di venire dal basso, il dissenso finora represso continua serpeggiare, sempre più e rischio di coinvolgere milioni di russi che vedono il paese andare verso il baratro, dopo che già le condizioni di vita non erano certo delle migliori. L’economia era già da prima della guerra in condizioni precarie.
La Russia dei sogni imperiali di Putin è in realtà un gigante geopolitico, ma un esile nano dal punto di vista dell’economia; il paese dipende esclusivamente dalle esportazioni di materie prime ed il PIL russo è appena paragonabile a quello di paesi assai più piccoli quali la Spagna o la Corea del sud, inferiore a quello italiano.
I consumi interni sono alimentati quasi esclusivamente dalle importazioni e a fronte della nuova situazione che si è venuta a creare, rischiano una contrazione notevole. La banca centrale ha innalzato i tassi di interesse dal 4% al 20%. Un tasso di interesse da paese in guerra. L’inflazione galoppa a ritmi vertiginosi, si pensi che il suo valore percepito nel corso del 2021 si è attestato su un valore prossino al 18%, livello simile a quelli dei paesi sudamericani. Il 20% dei russi non possiede alcun tipo di risparmi. Vi sono nel paese più di 19 milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. Si pensi che, secondo alcune rilevazioni recenti, più del 60% dei russi spende più della metà delle proprie risorse per i prodotti alimentari.
I disagi delle sanzioni si andranno, pertanto, a sommare sempre più a quello già abbastanza elevato della maggior parte della popolazione russa. Il fronte interno è, pertanto, per Putin assai pericoloso e, forse, la guerra non è stata davvero una scelta felice. L’esplosione del fronte interno e le piazze che rischino di tornare a riempirsi rischiano di segnare la fine del potere di un presidente che con l’andare del tempo ha finito per credersi imperatore. E certamente noi, da occidentali, tireremmo un gran sospiro di sollievo se la sorte sgombrerà il campo da un simile tiranno, che con la sua follia rischia di gettare nel baratro l’intero pianeta.