Il compleanno del principe De Curtis
di Giuseppe Esposito-
Se fosse vivo, oggi il Principe De avrCurtis, per tutti Totò, avrebbe oggi 124 anni, essendo nato il 15 febbraio 1898 a Napoli, al numero 109 di via Santa Maria Antesaecula, nel quartiere Sanità. Ma Totò, in realtà è ancora vivo, poiché non è un uomo ma una maschera paragonabile solo a quella di Pulcinella e come quella erede della grande tradizione della Commedia dell’Arte e simbolo del folklore napoletano o meglio, dell’animo napoletano. Totò è una maschera insondabile, sconcertante, di cui è impossibile cogliere ciò che si cela dietro, una miscela di verità e finzione, di impostura e di autenticità, un estro che forse non sarà mai più possibile incontrare. La misura di Totò e come quella di Pulcinella, l’eccesso, la rottura degli schemi, lo scardinamento delle logiche e delle ipocrisie dell’Italia a lui contemporanea. La sua era una forza anarchica che adoperava la sua stessa faccia terremotata ed i suoi straordinari e lunari giochi linguistici per mettere alla berlina e fare piazza pulita di ogni falso rigore e di ogni luogo comune della società che ci circonda.
Il personaggio che meglio esprime la sua natura è forse il pazzariello, interpretato nel film “L’oro di Napoli” diretto da De Sica e tratto da uno dei libri di un altro irripetibile napoletano, Giuseppe Marotta. Il pazzariello è un imbonitore, un suonatore ambulante, un declamatore ufficiale che, ai tempi di Totò veicolava messaggi di natura commerciale. All’interno di un rituale sempre uguale egli doveva, di volta in volta, inventarsi nuovi modi per attirare l’attenzione del prossimo. In lui vi è sempre qualche esasperazione linguistica, uno sberleffo, una esagerazione della mimica, un bisticcio di parole ed un dinoccolamento del corpo.
Le sue esibizioni non erano interpretazioni, Totò viveva in queste e ci si divertiva. Quando calcava le tavole del palcoscenico quelle esibizioni non avevano dimensione, potevano durare dai cinque minuti iniziali, delle prime serate ed espandersi all’infinito mano a mano che lo spettacolo veniva replicato.
Totò ha attraversato tutte le forme di spettacolo del Novecento, dalle periodiche napoletane, al varietà, all’avanspettacolo fino al cinema, si è espresso non solo come attore ma anche nella poesia o nella musica. Due sue creazioni indimenticabili sono la poesia “ ‘A livella” e la canzone “Malafemmina”, intramontabili ed ancora oggi capaci di suscitare la nostra commozione ogni volta che si torna ad ascoltarle.
Nacque dunque il 15 febbraio 1898 da Anna Clemente che, all’anagrafe lo registrò come Antonio Clemente, di padre ignoto. Ma poi l’uomo con cui l’aveva concepito, il marchese Giuseppe De Curtis la sposò nel 1921 e nel 1931 riconobbe anche Antonio. Nel 1933 Antonio fu adottato dal marchese Francesco Maria Gagliardi che gli trasmise i suoi titoli gentilizi, sebbene il diritto a fregiarsene fu riconosciuto dal tribunale a Totò, solo nel 1946. Da quel momento il nostro Antonio poté diventare Antonio Griffo Focas Dicas Comneno Porifirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, Principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo. Un’altra esagerazione che non strideva con tutte le altre che caratterizzavano il personaggio o meglio la maschera.
Nei primi anni di vita è dunque solo la madre ad occuparsi del piccolo che ella per brevità chiamava Totò. E quel nome divenne in seguito il nome d’arte dell’attore ed il suo marchio di fabbrica.
Antonio lasciò gli studi a soli quattordici anni fuggendo dal collegio cui era stato affidato. Tra l’altro durante la sua permanenza in collegio fu un giorno colpito dal manrovescio di un precettore esasperato dalla sua irrequietezza, quello schiaffo gli deviò il setto nasale, difetto che determinerà poi la parziale atrofia del lato sinistro del naso e quindi la particolare fisionomia del suo volto.
Lasciato il collegio iniziò a recitare giovanissimo senza ottenere grande successo. Allo scoppio della prima guerra mondiale fu arruolato nell’esercito. Congedato riprenderà l’attività teatrale. Nel 1922 si trasferisce a Roma dove viene scritturato nella compagnia di Giuseppe Capece, ma appena chiede un aumento della sua misera paga è licenziato. Si presenta allora al teatro Jovinelli dove debutta facendo l’imitazione di un comico allora molto popolare, Gustavo De Marco. In poco tempo guadagna il favore del pubblico ed il suo nome compare sui manifesti a lettere cubitali. Cominciano a fioccare le scritture da parte dei migliori teatri d’Italia, da Milano, a Roma e a Torino.Ma la consacrazione avviene a Napoli dove compare nella rivista “Messalina” accanto a Titina De Filippo. Dall’unione con Diana Bandini Rogliani nasce la figlia Liliana, nel 1935 divorzia in Ungheria, ma la convivenza si protrae fino al 1950.
Sulla scena Totò non si limita a far ridere, ma ogni sera trascina letteralmente il suo pubblico fino al delirio con le sue battute ed i suoi stralunati personaggi.
Se il successo presso il pubblico è eccezionale vi è una parte della critica, con poche ma qualificate eccezioni lo avversa, accusandolo di buffoneria e di ripetitività. Ma il parere della critica non gli impedisce di diventare il protagonista della scena teatrale italiana. Recita in compagnia con Anna Magnani ed i fratelli De Filippo in molte riviste di grande successo. Contemporaneamente inizia anche a recitare al cinema, dove debutta nel 1937 e dove fino al 1967 interpreterà più di un centinaio di pellicole. Nel 1952 si innamora di Franca Faldini che gli resterà accanto fino alla morte. A causa degli impegni, nel 1956 trascura di curarsi una broncopolmonite virale che gli causerà un’emorragia all’occhio destro, il solo occhio da cui ci vedeva bene, avendo subito il distacco della retina all’occhio sinistro, già vent’anni prima.
A dispetto di molti critici, Pasolini lo chiama ad interpretare “Uccellacci e uccellini” che rappresenta, se così si può dire, lo sdoganamento di Totò da parte di uno dei maggiori intellettuali italiani. Per la sua interpretazione Totò riceve il Nastro d’argento e poi anche una menzione speciale al Festival di Cannes.
Oramai è quasi cieco, ma ciononostante prende parte a due episodi del film “Capriccio all’italiana”. Ma il 14 aprile è costretto ad interrompere la lavorazione per un malore. Nella notte tra il 14 e il 15 aprile subisce una serie di infarti che ne causano la morte.
Alle 11.20 del 17 aprile la salma è trasportata nella chiesa di Sant’Eugenio sul Viale delle Belle Arti, ma poi, assecondando il suo desiderio, viene portato a Napoli, dove giunge alle 16.30 accolto da una folla enorme. Infine è sepolto nella cappella De Curtis, presso il cimitero di Poggioreale.
