J’accuse: il 13 febbraio 1898 Emile Zola finisce in carcere
-di Giuseppe Esposito
Tra il 1894 ed il 1906 scoppiò uno dei casi più clamorosi negli annali della giustizia francese, quello che sarebbe stato poi ricordato come “L’affaire Dreyfuss”. Esso innescò nella società francese all’epoca della terza Repubblica, uno scandalo ed un conflitto politico e sociale senza paragoni, spaccando letteralmente in due fazioni il paese.
Alla base del conflitto vi fu l’accusa, al capitano Alfred Dreyfuss, alsaziano di origini ebraiche, di alto tradimento e di spionaggio a favore della Germania. Accusa rivelatasi più tardi infondata, essendo infatti convenuti, gli storici, successivamente, sulla tesi di colpevolezza del maggiore Ferdinand Walsin Esterazy.
Il caso innescò un vero e proprio terremoto all’interno della società francese e causò le dimissioni di alcuni ministri. Portò alla modifica degli equilibri politici e fu addirittura la causa di un tentativo di colpo di stato.
La società francese nel suo intero si divise in due fazioni ferocemente agguerrite, l’una contro l’altra. Da una parte vi erano i dreyfusiani, sostenitori dell’innocenza del capitano e dall’altra gli antidreyfusiani, convinti della sua colpevolezza.
Tra i primi vi fu lo scrittore Emile Zola, che sul quotidiano socialista “L’Aurore” del 13 gennaio 1898 pubblicò il suo articolo dal titolo “J’accuse” in difesa di Dreyfuss.
Esso aveva la forma di una lettera aperta al presidente della Repubblica Francese Félix Faure, in cui denunciava i persecutori del capitano Dreyfuss. L’ufficiale vittima di un complotto ai suoi danni fu vittima di un clamoroso errore giudiziario, avvenuto nel contesto dello spionaggio militare, dovuto all’antisemitismo presente all’interno della società dell’epoca ed al clima politico infuocato che si era venuto a creare in seguito alla sconfitta francese, nella disastrosa guerra franco prussiana, che aveva portato alla perdita dell’Alsazia e di parte della Lorena, a favore dell’Impero tedesco del cancelliere Bismark. Egli fu condannato, degradato e deportato nella Guyana Francese.
Lo scandalo della condanna fu caratterizzato dalla fabbricazione di prove false a danno dell’imputato ed alla ferma opposizione dei vertici militari alla sua riabilitazione, anche quando apparve chiara, più tardi, la sua innocenza. Gli ambienti politici antisemiti ed i monarchici aizzavano, attraverso i loro giornali, la popolazione contro Dreyfuss. I pochi difensori del capitano, in ambito militare, furono intimoriti, perseguitati ed infine espulsi dall’esercito. Il maggiore Marie George Piccart, capo dei servizi segreti, che convinto della innocenza del Dreyfuss, spingeva per la sua riabilitazione, fu degradato, trasferito in Africa, poi arrestato e condannato anche lui.
Quanto al capitano, ottenne la grazia solo in virtù di un compromesso politico, ma sebbene rimesso in libertà, dovette attendere fino al 1906 per essere reintegrato.
Tra i maggiori difensori della sua innocenza vi era lo scrittore Emile Zola, che nella sua vera e propria filippica su “L’Aurore” aveva denunciato i persecutori del capitano Dreyfuss come nemici della verità e della giustizia, si rifugiò all’estero, in un primo momento, ma, al suo rientro, fu, accusato di vilipendio delle forze armate. Il suo processo durò dal 7 al 23 febbraio 1898. Egli fu condannato ad un anno di carcere, ad un’ammenda e al pagamento delle spese processuali, per una somma che ammontava a ben 7525 franchi. Somma di cui egli non disponeva e che fu pagata dal suo amico, giornalista e scrittore, Octave Mirbeau. Si tenga presente che quei 7525 franchi di allora sarebbero, oggi, equivalenti alla rispettabile somma di quasi 900.000 euro.
Da quel momento l’espressione “J’accuse” è entrata nell’uso della lingua italiana ad indicare la pubblica denuncia di un’ingiustizia o di un sopruso.
