Conservatorship: il dramma vissuto da Britney Spears.

di Clelia Pistillo-

“Hit me baby one more time” cantava nel 1999 la nota pop star Britney Spears. Chi dice di non aver mai ascoltato o canticchiato almeno una volta nella vita questo accattivante motivetto mente. Lo hanno fatto i suoi milioni di fans ed è capitato anche a chi, come la sottoscritta, sua fan non lo è mai stata. Britney Spears, classe 1981, si rivelò essere sin da piccola una bambina talentuosa.

All’età di 8 anni cominciò a studiare canto. La sua consacrazione come artista di fama mondiale avvenne sul finire degli anni 90. Chi la conosce sin dai tempi degli esordi sostiene che a muoverla sia sempre stata la passione per il suo lavoro e mai il denaro, tuttavia, nell’arco della sua carriera ne ha guadagnato molto e dal 1998 al 2003 ha venduto 73 milioni di album diventando nel 2004 una delle artiste donne della sua generazione a vendere più dischi.

Ma è il lato umano che mi premere cogliere in tutta questa situazione, il dramma vissuto negli ultimi tredici anni.

Nel 2008, quando la popolarità era alle stelle, la sua vita privata divenne oggetto di una morbosa attenzione mediatica, bersaglio ambito dai paparazzi anche per via del suo divorzio in corso e della battaglia giudiziaria in atto per l’affidamento dei figli. Una vita privata che di privato non aveva ormai quasi più nulla.

In quel momento, non facile da gestire per una donna di 27 anni, fu ricoverata a causa di un crollo psicologico. A quel punto si cominciò a parlare di demenza e nel febbraio 2008, durante la permanenza in clinica della pop star, un giudice firmò i documenti necessari per attivare la conservatorship, la tutela.

Questa parola, per molti nuova, si riferisce ad un istituto solitamente utilizzato per proteggere persone molto anziane quando non sono più in grado di provvedere a se stesse e che consiste nell’affidare ad un terzo la possibilità di prendere decisioni sostituendosi in toto al soggetto tutelato.

James Spears, il padre, venne nominato tutore, sia personale che patrimoniale, sostenuto nel suo compito da una vera e propria equipe composta da ogni figura professionale necessaria a seguire la pop star nel suo processo di riabilitazione. Cosi anche la carriera della donna cominciò ad essere gestita da persone diverse da lei.

Nel giro di poco tempo per l’artista furono organizzati tours molto impegnativi, e nella primavera del 2011, fu la volta dell’album Femme Fatale che riscosse grandissimo successo. Ma come mai venne sottoposta a questi ritmi duri e serrati? Semplice: per consentirle di mantenere il tenore di vita al quale era abituata. Inoltre il lavoro sarebbe stato ciò che l’avrebbe sempre motivata quindi riempirle oltremodo l’agenda di nuovi impegni le avrebbe sicuramente giovato.

Nel leggere questa storia si rimane molto perplessi e si avverte un senso di ingiustizia, anche se la conservatorship sarebbe stata avviata a fin di bene. Al suo posto ci saremmo sentite sfruttate? Avremmo voluto riprendere in mano le redini della nostra vita? Direi di sì. Restano il senso di frustrazione e le domande. Come può una persona incapace di provvedere a se stessa sostenere tali ritmi garantendo attraverso il proprio lavoro uno stipendio a tantissima gente? Grazie alla conservatorship? O malgrado la conservatorship?

Poteva questa persona essere aiutata in modo differente? Rimangono anche i dubbi. Sta di fatto però che, nel giro di poco tempo, una persona indipendente e (al di là dei gusti musicali) piena di talento é stata considerata incapace di provvedere a se stessa, ai propri bisogni, ai propri figli, costretta a chiedere il permesso anche solo per guidare la propria automobile, per andare dal medico e per poter frequentare un amico.

Risulta incredibile, eppure è quanto accaduto ad una delle donne più famose al mondo. Difficile da accettare perché tutti possono vivere un momento di difficoltà ma quest’ultimo, lungo o breve che sia,  non può giustificare in alcun modo una graduale privazione dei diritti e delle libertà.

Per l’intera durata della tutela il suo tutore avrebbe percepito, oltre ai compensi derivanti dai ricavi delle tournée, un lauto stipendio fisso mensile mentre la star avrebbe ricevuto una diaria di 8 mila dollari al mese.

Una vicenda, questa, che è giunta al capolinea nello scorso autunno quando James Spears ha terminato il suo compito come tutore. Al di là di ogni considerazione personale un provvedimento nato per tutelare una persona non dovrebbe mai trasformarsi in uno strumento abusante, usato per esercitare potere e controllo su un altro individuo,  nella fattispecie concreta, una donna.

Ci auguriamo che questa vicenda possa accendere un faro su altri casi simili e sugli abusi che si consumano silenziosamente ogni giorno su chi non gode della stessa popolarità di Britney Spears contribuendo a colmare le falle di un istituto, a tratti lacunoso.

Difficile pensare per un solo istante alla malafede di un genitore che dovrebbe avere necessariamente a cuore il bene dei propri cari. Ad ogni modo, questa storia ci insegna quanto il confine tra il bene e il male sia sottile e fragile tanto da confonderci e da impedirci a volte di comprendere la natura di alcune azioni.

Ora la pop star è finalmente libera. Free Britney è anche il nome di un movimento nato sui social proprio a sostegno dell’artista. Oggi il nostro augurio è che Britney Spears possa recuperare il tempo per se stessa, per godere della serenità e della libertà a cui ciascuno individuo ha diritto.

 

 

 

loveyousave, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons

Clelia Pistillo