Quirinarie. Giorno 1

di Pierre De Filippo-

Inizia oggi la maratona Quirinale, con un countdown durato giorni e che finalmente arriva a compimento.

Si parte con i cambi organizzativi dovuti alla pandemia: i catafalchi, storici anfratti presenti dal 1992, sono sostituiti da quattro cabine armadio di grandi dimensioni ed il parcheggio divenuto ormai drive in – non simpatico come quello di Gianfranco D’Angelo e Ezio Greggio ma quasi – per i quindici grandi elettori ancora positivi o in quarantena.

Ultima novità: il Presidente Fico ha decretato che, nel dare lettura dei voti, riferirà solo il cognome della persona indicata in maniera tale da non consentire voti firmati (nel 2015, SEL di Vendola votava “Mattarella S.” per contarsi).

Ripristinato intanto il numero di 1009 grandi elettori, con Rossella Sessa che è subentrata a Enzo Fasano, deputato salernitano, morti ieri.

Draghi si o Draghi no?

Questa è probabilmente la vera domanda di oggi, il quesito che il pomeriggio ci lascia.

Si inizia subito con una novità di rilievo: l’incontro tra Draghi e Matteo Salvini, che non ha mai nascosto di voler essere il pivot di questa tornata, un po’ come fu Renzi sette anni fa.

L’incontro non è smentito da Palazzo Chigi e, dunque, confermato.

Si sondano più possibilità e più voci concorrono a sostenere che non si sia trovata una quadra rispetto al governo, che Salvini vorrebbe vedere rimaneggiato.

Alle 17 una seconda svolta: una nota congiunta di Lega e PD annuncia che Salvini e Letta si sono incontrati e che l’incontro è stato “lungo e cordiale”. In un momento in cui forma è sostanza, una nota congiunta rappresenta il massimo della condivisione. I nomi del centrodestra che ieri Salvini aveva promesso per oggi apparentemente non ci sono più e, se la matematica non è un’opinione, ci si orienta verso l’opzione Draghi.

Subito dopo, il leader della Lega incontra anche l’ex arcinemico Giuseppe Conte. Non rilasciano interviste, non escono comunicati ma la riunione viene ritenuta proficua da entrambi.

Dal PD, invece, le prime voci di dissenso: è Stefàno a rimarcare che il lavoro da fare è ancora tanto e che Draghi dovrebbe rimanere a Palazzo Chigi per occuparsi di PNRR, di rincoro bollette, di crisi internazionali.

Patuanelli, Ministro per le Politiche agricole, sottolinea che “i cittadini hanno bisogno di certezze”, ribadendo la contrarietà al trasloco al Quirinale.

Un proscenio frastagliato in cui chi, fino a ieri, voleva Draghi al Quirinale pare non volerlo più e chi sosteneva quanto importante fosse lasciarlo al governo non ha più questa irriducibile certezza.

“Sto lavorando perché nelle prossime ore il centrodestra unito offra non una ma diverse proposte di qualità, donne e uomini di alto profilo da mettere sul tavolo delle proposte”, dice Salvini in serata, riportando indietro le trattative di una giornata.

Poi si arriva al voto ed il risultato è abbastanza scontato: una marea di schede bianche, qualche Maddalena, un paio di Cartabia e tutta una serie di nomi mai visti e mai sentiti in precedenza.

È mancata Cicciolina e anche Rocco Siffredi s’è mantenuto sotto le aspettative.

Il rischio è quello del grande inciampo.

Che l’opzione naturale fosse quella Draghi è vero, ma anche estremamente pericolosa: finché non la si sonda ufficialmente, il governo rimane coperto, al riparo da intrighi, veti e franchi tiratori. Ma, qualora si dovesse discutere in maniera chiara e limpida l’opportunità, deve poi essere chiaro a tutti che averlo fatto ed essersi resi conto che i numeri per portarcelo non ci sono, significherebbe perdere Draghi anche da Palazzo Chigi.

Così come non deve apparire impossibile l’elezione di un Presidente europeista e atlantista. È stato già fatto proprio con Draghi, convertendo – seppur in maniera recalcitrante – gli antieuropeisti in sostenitori dell’Unione e dell’euro.

Oggi si chiude così, con un nulla di fatto. Del doman, in verità, non v’è proprio certezza.

 

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