Avec le temps, un brano dal fascino immortale
-di Giuseppe Esposito-
Vi è stato un tempo in cui un profondo cambiamento ha interessato il mondo un po’ stagnante della musica popolare italiana. La prima scossa fu data dalla vittoria al Festival di San Remo del 1958 della canzone “Nel blu dipinto di blu” scritta e interpretata da Domenico Modugno. Fu il brano che riportò all’attenzione del pubblico di tutto il mondo la canzone italiana che dopo l’esaurirsi della grande stagione della canzone napoletana era entrata alquanto in ombra.
Il brano di Modugno sconvolse il mondo della musica leggera e si cominciò a parlare del testo della canzone come di un nuovo ermetismo, azzardando paragoni, forse eccessivi con i testi di Montale, Quasimodo o Ungaretti. Ancora oggi la canzone di Modugno è eseguita dappertutto ed è nota correntemente col nome di “Volare”.
Nella seconda parte del Novecento la canzone italiana si era ridotta a semplice oggetto di intrattenimento, di facile evasione e dunque un prodotto mediocre e senza nessuna pretesa. Anche i testi avevano perso di importanza ed erano divenuti banali e privi, talvolta, di senso. Agli inizi degli anni Sessanta prese ad affacciarsi alla ribalta quella che sarebbe poi stata definita canzone d’autore. I suoi interpreti non erano più dei semplici esecutori, ma prim’ancora autori del testo e della musica o di almeno una delle due cose.
Per questa nuova categoria di artisti fu coniato, nell’ambito della RCA Italia, il termine di cantautori, ad opera di Ennio Melis e Vincenzo Micozzi, per il lancio dell’esordiente Gianni Meccia. Nei loro brani il testo riacquistava un’importanza fondamentale e molti di essi si potevano definire dei poeti. I testi non erano più banali e si poteva in essi parlare anche degli aspetti della vita mai toccati in precedenza. Vi sono alcuni che affermano, anzi, che con i cantautori la poesia abbia ritrovato la sua forma originaria, poiché, sin dall’antichità, essa nasce accompagnata dalla musica. Le capitali della nuova forma musicale furono Genova con personaggi come Paoli, Tenco, De André, Lauzi e Bindi e Milano con Gaber e Jannacci.
Tutti comunque subirono l’influenza sia dei folksingers statunitensi come dell’esistenzialismo parigino e della canzone d’autore già presente oltralpe con personaggi del calibro di Jacques Brel, George Brassens, Charles Trenet, Edith Piaf, Juliette Greco ed infine Léo Ferré.
Era quest’ultimo uno dei talenti più interessanti della scena francese. Un talento precoce ed anima del clima ribelle stabilitosi nella seconda metà dello scorso secolo.
Ferré era nato nel Principato di Monaco il 24 agosto 1916, da Joseph, direttore del personale del Casino di Monte Carlo e da Marie Scotto, sarta di origini piemontesi. Mostrò il suo interesse per la musica fin da giovanissimo, ma fu avversato dal padre che lo mandò a studiare in un collegio di Albenga e successivamente pretese che si laureasse a Parigi in Scienze Politiche. Ma il giovane aveva in quegli anni coltivato autonomamente la passione per la musica ed aveva anche imparato a suonare il pianoforte. Il suo esordio avvenne nel 1941 presso l’Accademia di Belle Arti di Monaco.
Nel 1943 sposò Odette Shunk e nel 1946 si trasferì a Parigi. Nella capitale prese a frequentare il locali di Saint Germaine come cantante. Nel 1947 ottenne il primo contratto con un casa discografica per la canzone “Paris”. Nel 1950 il suo matrimonio si conclude malamente, mentre è occupato a mettere in musica i testi dei cosiddetti “poetes maudits” quali Baudelaire, Gautier, Verlaine e Rimbaud.
Nel 1953 mette in scena il suo oratorio lirico su testo di Apollinaire, dal titolo “La chanson du mal aimé”. Nello stesso anno si risposa con Madeleine Raberau. Nel 1956 pubblica la raccolta di versi: “Poetes, vos papiers”, cui segue poi il romanzo “Benoit Misére”, ambientato ai tempi della sua permanenza in collegio. Esce poi “Testament Phonographe”.
Quando poi si presentano movimenti come quello dei beatnick prima ed i Sessantotto poi egli li accoglie con estremo favore, essendo da sempre un ribelle e vicino al movimento degli anarchici. Nel 1968, infatti, sul quotidiano “Le Monde” esce una sua foto, con la scritta autografa “Viva l’Anarchia, con la A maiuscola come Amore”.
Nel 1969, nel periodo del pieno successo dei cantautori, decide di trasferirsi in Italia e va a stabilirsi a San Casciano, ma continua a tenere concerti in giro per il mondo. La sua canzone più affascinante rimane tra tutte quella dal titolo “Avec le temps”.
Essa è il canto della disillusione, della malinconia. Un esorcismo contro la tristezza degli addii. Ferrè raccontava di averla scritta in due ore, nel periodo in cui si stava trasferendo in Italia. Col passare del tempo tutto scompare le cose importanti ed anche quelle che altro non erano che sciocchezze. Si dimenticano persino le parole della nostra infanzia, le parole degli affetti e ci si ritrova, infine, a smettere di amare. Sembra il canto della disperazione, ma è solo il canto della presa di coscienza. Bisogna far tesoro di ognuna delle nostre esperienze, degli incontri e dei sentimenti, subito, prima che il tempo li annienti.
La morte lo colse il 14 luglio a Castellina in Chianti, dove si era trasferito fin dal 1971 con tutta la famiglia. Vi lascio ora alle parole dell’autore, ma vi invito ad ascoltare il brano dalla viva voce di Ferrè. Vivrete un’esperienza unica, quale solo pochi brani possono trasmettere.
Avec le temps
Avec le temps, va, tout s’en va
On oublie le visage et on oublie la voix
Le coeur quand sa bat plus c’est pas la peine d’aller
Chercher pul loin, fut laisser faire et c’est bien
Avec le temps
Avec le temps, va, tout s’en va
Autre qu’on adorait, qu’on cherchait sous la pluie
L’autre qu’on devinait au detour d’un regard
Entre les mots, entre les lignes er sous le fard
D’un sermont maquillé qui s’en va faire sa nuit
Avec le temps
Avec le temps, va, tout s’en va
Même les plus chouettes souvenirs, ça t’as une de ces gueles
À la galerie, j’farfouille dan les rayons d’la mort
Le samedi soir quand la tendresse s’en va toute seule
Avec le temps
Avec le temps, va, tout s’en va
L’autre qui l’on croyait pour un rhume, pour un rien
L’autre qui l’on donnait du vent e des bijoux
Pour qui l’on eût vendu son âme pour quelques sous
Devant quoi l’on s’ traînait comme traînent les chiens
Avec le temps, tout va bien
Avec le temps
Avec le temps, va, tout va
On oublie les passions et on oublie les voix
Qui vous disaient tout bas les mots des pauvres gents
Ne rentre pas trop tard, surtout ne prendes froid
Avec le temps
Avec le temps, va, tout s’en va
Et l’on se sent blanchi comme un cheval fourbu
Et l’on se sent glacé dans un lit de hasard
Et l’on se sent tout seul peut- être mais peinard
Et l’on se sent floué per les années perdue alors vraiment
Avec le temps on aime plus.
Ho riportato il testo originale, poiché nella traduzione in italiano si perde qualcosa di quel fascino sottile che i versi hanno nella loro lingua. Vi suggerisco infine il mio suggerimento di riascoltare la canzone nella interpretazione dello stesso autore. Vivrete un’esperienza che non può andare perduta.
