La presa del Palazzo d’Inverno, 7 novembre 1917
di Giuseppe Esposito-
Il 28 luglio 1914 prendeva l’avvio il primo conflitto mondiale con la dichiarazione di guerra presentata dall’Austria alla Serbia, a seguito dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando ad opera di Gavrilo Princip. In base alle alleanze createsi a partire dagli ultimi decenni del secolo XIX si formarono due blocchi contrapposti, da una parte i cosiddetti Imperi centrali con la Germania, l’Austria e l’Impero ottomano e dall’altra la Francia, il Regno Unito, la Russia ed il Giappone. Più tardi, nel 1915, entrerà in guerra anche l’Italia.
La Russia era arrivata alla guerra completamente impreparata ed infatti il suo esercito fu costretto a subire una lunga serie di sconfitte, mentre le poche vittorie furono inutili e costarono migliaia di morti.
Dopo due anni di guerra, alla fine del 1916, l’esercito ed il paese erano allo stremo. Nelle città mancavano, quasi completamente, anche i generi di prima necessità. La popolazione, gli intellettuali ed anche le forze politiche erano oramai stanche del regime zarista. Agli inizi del 1917 cominciarono a manifestarsi le prime agitazioni, soprattutto nella capitale Pietrogrado. Iniziarono gli scioperi e gli scontri con la polizia. Il giorno 25 febbraio il numero degli scioperanti era arrivato e più di 240.000 operai. Le truppe inviate a reprimere le manifestazioni cominciarono a rifiutarsi di caricare i manifestanti. Alla fine di quel giorno solo un reparto di dragoni aprì il fuoco contro la folla nel Gostinij Dvor, il mercato coperto, ma poi fu messo in fuga dalla massa degli scioperanti.
Il giorno seguente, il 26 febbraio, il governo decise di ricorrere alla forza per cercare di fermare l’ondata montante dei moti e dette così ordine di usare le armi. Lo Zar in persona telegrafò al generale Chabolov di liquidare senza altri indugi i disordini nella capitale. Il risultato fu che, a fine giornata, la Prospettiva Nevskij era disseminata di cadaveri. Ma le agitazioni non si placarono ed un agente della polizia segreta, infiltrato tra i bolscevichi scrisse nel suo rapporto ai superiori: “ Il popolo è convinto che sia iniziata la rivoluzione il governo è impotente e la vittoria popolare è a portata di mano.”
A questo punto, Rodzjanko, presidente della Duma,che nel frattempo era stata sospesa dalla Zar, telegrafò al sovrano implorandolo di formare un nuovo governo con a capo una personalità riconosciuta dal popolo. Ma lo Zar rimase indifferente all’appello.
La situazione diveniva sempre più preoccupante ed il 27 Rodzjanko tornò a telegrafare al sovrano implorandolo di dare ascolto ai suoi consigli, ma quello non si prese nemmeno la briga di rispondergli. Col precipitare degli eventi i rappresentanti della Duma decisero di formare, autonomamente, un nuovo governo formato da moderati. Inoltre, il 2 marzo, sempre Rodzjanko fece pressione sul generale Russkij, aiutante di campo dello Zar, affinché lo convincesse ad abdicare in favore del figlio Alessio. Ma lo Zar esitava. Allora, nel corso della stessa giornata giunsero a Pskov, dove si trovava lo Zar, due rappresentanti del nuovo governo e nel corso della notte ottennero che fosse firmato l’atto di abdicazione. Ma Nicola II aveva deciso di abdicare a favore del fratello, il granduca Michele. Il giorno dopo questi avvertito, e vista la difficilissima situazione del paese abdicò a sua volta, lasciando il governo nelle mani della Duma. Si creò così una situazione assai incerta poiché il potere era conteso da una parte dal parlamento formato di moderati e presieduto da Kerenskij, e dall’altra dai soviet formati dai rappresentanti degli operai e dei soldati.
La situazione si protrasse per circa otto mesi. Ad aprile Lenin era riuscito a rientrare in patria dal suo esilio svizzero, con l’aiuto dei tedeschi. Sotto la sua guida i soviet misero a punto un programma per attrarre le masse popolari ed i soldati. Egli prevedeva la fine immediata delle ostilità e la distribuzione di pane al popolo, il tutto si poteva riassumere nello slogan “Tutto il potere ai Soviet”. Intanto l’esercito al fronte passava da una sconfitta all’altra e la situazione interna era sempre più preoccupante ed instabile. Allora i capi dei Soviet più importanti, quelli di Mosca e di Pietrogrado si riunirono e decisero di abbattere il governo formato da moderati e liberali e cominciarono a raccogliere le forze necessarie. Il capo del governo Kerenskij fuggì dalla città a bordo di un auto fornitagli dall’ambasciata americana.
Il 6 novembre soldati e marinai occuparono tutti gli uffici telegrafici e telefonici della città e presero possesso delle stazioni. Mentre quello che restava del governo si chiuse nel Palazzo d’Inverno, antica dimora degli Zar. A difenderlo vi erano appena duemila uomini contro i 40.000 dei bolscevichi. A causa di una tale disparità, quando gli assedianti mossero contro il palazzo, gli assediati decisero di arrendersi, per evitare inutili spargimenti di sangue. Tutti i membri rimasti del governo furono arrestati e Lenin instaurò una vera e propria dittatura con arresti e fucilazioni arbitrarie.
Coloro che erano rimasti fedeli alla monarchia riunirono le loro forze lungo i confini del paese, dove potevano ricevere gli aiuti delle potenze straniere preoccupate dal possibile contagio rivoluzionario oltre i confini della Russia. Si accese così una crudele guerra civile che ebbe termine solo 5 anni più tardi, nel 1922.
Quell’anno Lenin, oramai anziano e malato morì e tutto il potere passò nelle mani di Josip Stalin che si rivelerà come uno dei più crudeli dittatori che la storia ricordi. Le cosiddette purghe staliniane provocarono la morte di milioni di russi anche per motivi futili o per colpe inesistenti. Chiunque desse fastidio al dittature veniva fatto scomparire nelle gelide lande della Siberia.
