Ei fu, siccome immobile: il ddl Zan
-di Pierre De Filippo-
È finita come lui aveva previsto, un oracolo per qualcuno, una cassandra per qualcun altro, un fine lettore della politica per i più obiettivi. Matteo Renzi l’aveva detto con largo anticipo che, se si fosse arrivati ad un voto segreto, il ddl Zan avrebbe rischiato non solo di incepparsi ma di venire affossato del tutto. Colpito da mani nemiche ed anche da mani amiche. Peccato che, mentre si votava, lui fosse a fare il businessman in Arabia Saudita…
Sono volati gli stracci, come sempre accade in questi casi, e in molti lamentano una certa distanza tra le decisioni parlamentari e gli istinti popolari, molto più maturi e ben disposti.
Cosa è successo? È successo che qualche giorno fa due mozioni del centrodestra – quella della Lega a firma Calderoli e quella di Fratelli d’Italia a firma La Russa, due vecchie volpi della politica insomma – hanno fatto abbattere sul disegno di legge la cosiddetta tagliola, vale a dire la richiesta che, ai sensi dell’articolo 96 del regolamento del Senato può essere avanzata da ciascun Senatore, di non passare all’esame dei singoli articoli del disegno calendarizzato.
Della serie “ne vogliamo parlare?”. 154 senatori hanno risposto di no, la maggioranza, 131 di sì e 2 si sono astenuti.
Questo è potuto succedere, come qualcuno temeva, perché sempre i senatori di Lega e Fratelli d’Italia, ai sensi dell’articolo 113 dello stesso regolamento, hanno chiesto il voto segreto, coerente con l’idea che sui diritti civili debba vigere l’assoluta libertà di coscienza.
Peccato però – e su questo s’è creato un alterco tra la presidente Casellati, che ha autorizzato la procedura, e qualche senatore del M5S – che i voti segreti dovrebbero, di regola, essere concessi per questioni sostanziali e non procedurali come in questo caso.
La Casellati ha interpretato in maniera molto estesa le sue prerogative.
Sono state queste sottigliezze giuridiche, queste minuzie formali a segnare, di fatto, la vita del ddl Zan. Ora, un’altra legge sullo stesso tema potrà essere presentata in Parlamento fra non meno di sei mesi e riprenderà il suo irto e lunghissimo iter ripassando dalla commissione competente e rifacendo la tanto vituperata navette tra le due Camere.
Sta di fatto che, a consuntivo, i franchi tiratori sono stati parecchi: 15 o 16 dicono da Largo Nazareno e, pur senza dirlo chiaramente, puntano il dito contro i renziani di Italia Viva, che alla Camera aveva votato il provvedimento mentre al Senato aveva alzato il ditino inquisitore; macché, sono 40 replicano dalle parti della Leopolda e vengono soprattutto da PD e M5S. No, precisano altri, sono 24.
Il numero preciso non è importante.
Ciò che conta è che, in verità, s’è compiuto il delitto perfetto nei confronti di una norma certamente perfettibile ma necessaria, soprattutto per parificare, da questo punto di vista, la nostra normativa a quella dei Paesi più avanzati e per rispondere ad una esigenza sociale molto sentita, che non riguarda una sparuta minoranza ma tutte le persone di buon senso.
Solo pochi giorni fa Enrico Letta aveva dato mandato proprio ad Alessandro Zan, primo firmatario della proposta, di verificare la possibilità di trovare un’intesa più ampia con le opposizioni.
Da Italia Viva gli avevano risposto di essere prudente, perché se si fosse arrivati in aula con quelle prospettive, il ddl poteva naufragare; il centrodestra unito s’era detto disponibile al dialogo e alle negoziazioni ma non a togliere la tagliola già calendarizzata, che era come negoziare avendo in mano un kalashnikov mentre l’avversario aveva un coltello a scatto.
Questa la cronaca, giusto per consentire a chiunque di farsi la propria idea.
Oggi perdiamo, comunque la si veda, una grande occasione. Una grande occasione per garantire ulteriori diritti a chi ne necessita ma anche una grande occasione per far passare il messaggio – che necessiterebbe ben altra maturità – che su certi temi non può esistere la destra e la sinistra, non può esistere l’aggrapparsi al formalismo e ai gangli del sistema, non può esistere cinismo e sopraffazione. Perché, prima o poi, si pagano.
Voglio concludere ricordando MariaSilvia Spolato, tra le primissime attiviste LGBT italiane, che nel 1972 scese in piazza a manifestare semplicemente per la sua libertà di amare chi lei preferiva. Docente, fu licenziata dal Ministero dell’Istruzione perché “indegna”, emarginata dalla famiglia continuò a vivere da accattona e alla giornata. Morì nel 2018.
Se avessimo avuto un po’ del suo coraggio, della sua determinazione e della sua strafottenza, oggi non avremmo portato il Paese indietro di quarant’anni, oggi nessuno avrebbe esultato in quell’aula, come se avesse vinto qualcosa.
Oggi abbiamo perso tutti.
“Un arcobaleno nel cielo di Roma” by m☮nd☮blu is licensed under CC BY-NC-ND 2.0
