Il PD e la politica dei due forni

di Pierre De Filippo-

La politica dei due forni è un’altra di quelle fantasiose invenzioni italiche – al pari delle convergenze parallele e dei compromessi storici – che ben ci raccontano perché siamo, in realtà, il Paese di Leonardo e di Dante e non quello di Churchill o Lincoln.

Siamo dei geni creativi, talvolta talmente tanto coraggiosi e spudorati da creare formule che in natura non esistono, leghe tipo il bronzo che, se non mescoli insieme rame e stagno, ai voglia a cercarlo nelle miniere.

Di politica dei due forni si parla ormai da sessant’anni, da quando cioè un luminare di queste semplificazioni politiche, Giulio Andreotti, non la coniò rispetto ad una certa doppiezza che la Democrazia cristiana avrebbe dovuto avere, guardando sia a destra – dove c’erano missini e liberali – e sia a sinistra, dove l’interlocutore privilegiato era, evidentemente, il PSI.

Oggi, c’è un unico partito che può, con dei margini di manovra sufficientemente larghi, far uscire il pane da due forni: il Partito democratico.

Forte dell’affermazione elettorale e dell’ingresso di Enrico Letta alla Camera, il PD deve mettere a frutto questi risultati, smettendo di andare al traino di quella ciurma che appare sempre più moribonda dei 5 Stelle.

Per carità, i grillini rimangono numericamente e attualmente i principali interlocutori, volendo seguire un’ottica bipolare che vede, dall’altra parte, la destra unita. Ma dalle parti di Largo Nazareno non dovrebbero accantonare del tutto un dialogo col centro liberale (Italia Viva, Azione, Più Europa).

È questa la politica dei due forni che il Partito democratico dovrebbe avere la lungimiranza e l’autorevolezza politica di impostare. Appena eletto, con plebiscito, segretario, il liberale Letta ha ritenuto di avere un’unica strada dinanzi a sé: guardare a Conte, “punto di riferimento essenziale per i riformisti” e chiudere la porta ad ogni altro discorso.

Veniva da una posizione di debolezza e, probabilmente, non avrebbe potuto fare diversamente. Oggi però le cose sono cambiate: chi non ha più margini di manovra è il Movimento, che s’è già giocato la carta con la destra e non gli rimane che il PD.

O il PD o l’isolazionismo, che equivarrebbe a chiudere anzitempo i battenti.

Su questo Letta deve battere. Ma non come ha fatto, in maniera goffa, dicendo che, in fondo, “Conte, Renzi e Calenda possono stare nella stessa coalizione”, perché non è così.

Conte, Renzi e Calenda non possono stare nella stessa coalizione.

E allora su cosa il PD dovrebbe rivolgersi ai due forni? Sui temi, sulle posizioni, sulle politiche. Oggi ha modo di scegliere tra una politica autenticamente riformista e una che si basa, come vorrebbe la base grillina, su quella insulsa espressione che niente significa di “decrescita felice”; oggi, il PD ha e deve avere la forza di cambiare il M5S nella sua genetica; deve poter pretendere che tutta la coalizione di schieri a favore delle Olimpiadi, delle grandi opere, dell’Europa.

Di ciò che serve, insomma.

Non in una posizione subalterna – che la sinistra ha e che gode nell’avere – ma in una posizione di forza, di guida della coalizione.

In cosa consisteranno i due forni? Se questo processo avrà successo, col tempo i cittadini guarderanno il M5S e non ci vedranno più quella forza oltranzista e protestataria. Guarderanno il PD e vedranno una forza matura, tranquilla e radicalmente riformista.

Guarderanno il PD, guarderanno il M5S e non ci troveranno più nessuna differenza. E continueranno a scegliere il partito di Berlinguer, perché era una brava persona.

E, nel lungo periodo, il centro liberale sarà l’unico suo interlocutore valido, serio ed efficace. E sarà questo l’unico modo per rappresentare davvero un’alternativa a quel populismo strisciante e a quel cieco sovranismo dei quali le destre non riescono proprio a liberarsi.

“Partito Democratico” by Shanghai Daddy is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

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