La città alla prova del voto

-di Pierre De Filippo

Si è finalmente votato.

Dopo un’attesa spasmodicamente lunga e tormentata, domenica 3 e lunedì 4 ottobre, le città – grandi, medie e piccole – sono tornate al voto, disegnando una geografia politica abbastanza diversa da come ce l’aspettavamo e anche da come ce la ricordavamo fino a qualche tempo fa.

Chi vince?

Vince senza dubbio il Partito Democratico, a partire dal suo segretario, Enrico Letta, che si impone alle suppletive di Siena ed entra in Parlamento. Risultato chiaro ma in discussione alla vigilia, con Letta che aveva deciso di non correre col simbolo per allargare la base elettorale.

Il PD vince in maniera chiara a Milano dove, per la prima volta, la sinistra si impone al primo turno e dove il partito di Largo Nazareno conquista più voti di Lego, FI e FdI messi insieme. Un notevole risultato considerato che due dei tre leader – Berlusconi e Salvini – sono meneghini da generazioni.

Stravince nella rossa Bologna e vince in maniera netta anche a Napoli, dove l’ex ministro Manfredi aveva inaugurati il ticket coi 5 Stelle.

Va ai ballottaggi a Torino e Roma. Nella città sabauda Lorusso anticipa di circa cinque punti Damilano ed è favorito al secondo turno mentre a Roma Gualtieri è dietro Michetti ma, a rigor di sondaggi ed anche di logica, dovrebbe riuscire a rimontare.

Una vittoria su tutti i fronti.

Vince anche Carlo Calenda che, decidendo di fare una corsa solitaria, ha sfiorato il 20% ed è la prima lista della Capitale. Non ha centrato il ballottaggio ma ha incrementato il suo capitale politico nazionale.

Chi pareggia?

Pareggia Giorgia Meloni, che sottrae voti alla Lega a Milano ed a Bologna, che ottiene un ottimo risultato a Torino e che porta Michetti al ballottaggio a Roma. Proprio la scelta del candidato sindaco di Roma, però, rappresenta un tasto dolente: sbeffeggiato dai partners di coalizione – da Giorgetti a Berlusconi, finendo con Sgarbi – lo speaker romano non sembra esattamente il più idoneo alla carica. Senza progetti e senza idee, sarà un bell’esperimento vederlo alla guida della capitale.

Pareggia Forza Italia, non fosse altro che per il buon risultato calabrese dove uno dei suoi massimi dirigenti, Roberto Occhiuto, già sindaco di Cosenza, diventa governatore.

Per il resto poco altro, resiste in qualche altra grande città, dando segni di vita.

Chi perde?

Perde Salvini, senza dubbio. I suoi candidati faticano, a cominciare da Bernardo a Milano, che si scontra con la poderosa onda di Sala. Ma è in tutta Italia che la Lega arretra e dove il candidato regge, come a Torino, è perché “ho parlato con Giorgetti”, quasi a prendere le distanze.

All’elettore leghista manca l’afflato chiassoso e volutamente ambiguo di qualche anno fa, manca l’estremismo sovranista col quale si promettevano mari e monti. Mancano, essenzialmente, le corna in testa.

La Lega di governo di Giorgetti, quella del Forum di Cernobbio, di Draghi e delle “buone maniere” non attrae – d’altronde, sarebbe impossibile il contrario – ed ora il Capitano è sulla graticola.

Perde anche il M5S. Perde anche dove vince, come a Napoli e a Bologna, perché ininfluente ai fini delle vittorie di Manfredi e Lepore. A Roma, il quarto posto di un Sindaco uscente è uno smacco anche se il nuovo condottiero, Giuseppe Conte, lo sperava più di un tredici al totocalcio. Scomparso nelle grandi città, fatica anche alle regionali in Calabria, evidenziando una apparente parabola discendente. Una conclusione su Salerno. Napoli vince al primo turno ma perde comunque quindicimila voti e quattro seggi.

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