L’Eremo e l’Abbazia di San Galgano tra leggende e misteri.

A trenta chilometri da Siena, tra le dolci colline della Val di Merse, il piccolo comune di Chiusdino accoglie nel suo territorio, a poca distanza fra loro, un eremo di modeste dimensioni e una grande abbazia medievale, affascinanti non solo per la magnificenza dell’architettura che contraddistingue gli elementi sacri, ma anche per il paesaggio assai suggestivo che li circonda. In questo territorio visse e morì San Galgano, in onore del quale furono eretti prima l’Eremo di Montesiepi e poi la grande Abbazia cistercense, luoghi ancora oggi avvolti da un alone di mistero tangibile e affiancati da storie e leggende. Galgano Guidotti, cavaliere nato da nobile famiglia di Chiusdino (SI) a metà del XII secolo, visse buona parte della sua giovinezza nel più totale disordine e sregolatezza per abbracciare, in seguito, l’eremitaggio conducendo un’esistenza solitaria sul colle di Montesiepi, fino alla morte avvenuta nel 1178. Si narra che il suo allontanamento dalla società avvenne a seguito di due apparizioni di San Michele Arcangelo che lo scelse come Cavaliere di Dio, invitandolo a vivere sulla succitata collinetta. E proprio qui avvenne uno dei suoi più importanti miracoli legati alla sua leggenda: nel tentativo infruttuoso di modellare con la spada un pezzo di legno per realizzarvi una croce, in un momento di sconforto, il santo la conficcò fino all’elsa all’interno di una roccia riuscendovi senza gran fatica. Da allora nessuno riuscì mai ad estrarla. L’evento miracoloso richiama alla mente dei visitatori e pellegrini la più conosciuta storia di Re Artù e del ciclo bretone, con una sostanziale differenza: mentre San Galgano è stato un cavaliere realmente vissuto in quei luoghi, Re Artù e i suoi cavalieri sono frutto dell’immaginazione e delle leggende medievali.

Combusken, CC BY-SA 3.0

La spada è ancora lì (protetta da una teca trasparente) al centro della chiesetta sorta attorno ad essa. In stile romanico, l’eremo è detto anche “Rotonda” per via della sua forma, consacrato nel 1185 dal vescovo di Volterrra Ildebrando Pannocchieschi.

Sailko, CC BY 3.0

La chiesa primordiale è a pianta circolare interrotta solo da un piccolo abside, affiancata, poi, dalla cappella con affreschi del Lorenzetti del XIV secolo e, all’ingresso, da un pronao con apertura ad arco a tutto sesto. Sempre nel XIV secolo fu aggiunto il campanile a vela, mentre del XVIII secolo è la casa canonica che l’affianca. Di particolare bellezza è la cupola costituita da una serie di filari di pietre bianche di travertino alternate a mattoni rossi. Oltre alla spada nella roccia, un altro mistero caratterizza all’eremo. Si dice, infatti, che esista un legame tra San Galgano e il Santo Graal e che proprio sotto il calpestio della Rotonda molto probabilmente sia sepolta la famosa coppa dell’ultima cena di Gesù. La leggenda si spiegherebbe tuttavia col fatto che la cupola stessa assomigli proprio ad una coppa rovesciata. Non lontana dalla collina di Montesiepi, al di là di un suggestivo viale di cipressi, si trova, forse, uno dei luoghi più suggestivi della Toscana: la Grande Abbazia. Realizzata dai monaci cistercensi tra il 1218 e il 1262, consacrata nel 1288, è la prima grande chiesa in stile gotico francese presente in regione dedicata a San Galgano. La sua particolarità di essere del tutto sprovvista del tetto la rende unica nel suo genere e comparabile solo all’abbazia di Eldena in Germania, quella di Melrose in Scozia o ancora di Tintner in Galles. La pianta è a tipica croce latina, la sua facciata è caratterizzata da tre porte con arco a tutto sesto, da due finestre monofore e da un architrave con motivi floreali lungo la porta centrale. Non si entra però attraverso la porta centrale ma da un varco laterale che conduce direttamente al centro della navata. Ci si trova ad ammirare la nuda architettura gotica dell’interno dell’abbazia con la particolarità che i raggi del sole la illuminano in pieno. Un improvviso tripudio di emozioni e sensazioni particolari avvolge il visitatore e non si può rimanere insensibili davanti a tanta pura bellezza. L’abside centrale è caratterizzato da sei finestre monofore a sesto acuto e, al di sopra, da un grande rosone vuoto al centro ma che doveva contenere dodici petali. Più in alto, ancora, è presente un ulteriore piccolo rosone. Al di là del grande transetto ritroviamo il corpo centrale della chiesa costituito da una navata centrale affiancata, lateralmente da due eleganti navate laterali caratterizzate da 16 campate di pilastri cruciformi, tipici questi ultimi dell’architettura gotica con pilastro a fascio centrale circondato da semicolonne con capitelli dai quali dipartono le nervature delle volte. Sono otto, per lato, le alte le bifore a sesto acuto presenti sulla navata grande, ma soltanto una è ancora completa. Sul lato meridionale è presente, infine, il chiostro di cui è rimasto ben poco se non due piccoli setti di muro. Affianca il chiostro l’aula Capitolare con le caratteristiche volte a crociera. La comunità dell’Abbazia visse floridi periodi durante i quali i monaci godevano di una certa importanza sia economica che culturale. Purtroppo, dal XIV secolo in poi, una serie di carestie, la peste e il saccheggio del luogo sacro da parte di vari eserciti, portarono la grande chiesa a un lento e lungo declino che culminò nel 1786 con il crollo del tetto a causa di un filmine abbattutosi sul campanile. La chiesa venne poi sconsacrata nel 1789. Rimane, nonostante tutto, la suggestione e la straordinaria bellezza di un luogo misterioso, suggestivo e meta turistico-spirituale di migliaia di visitatori all’anno.

Daniele Magliano

Architetto- giornalista che ama approfondire tematiche di architettura, urbanistica, design, ma anche di storia, evoluzione e curiosità riguardanti oggetti di uso quotidiano. Mi piace, in generale, l'arte della costruzione: riflesso del nostro vivere in quanto unisce passato, presente e futuro prossimo di una comunità.

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