Deux gin-tonic s’il vous plait! Le origini salernitane del famoso liquore

-di Giuseppe Esposito-

Col passare degli anni, la massa dei ricordi si ingrossa sempre più e capita talvolta che qualche pezzo rotoli giù e giunga sul piano della coscienza. Ma queste cadute sono assai rischiose, perché quei pezzi che rotolano giù rischiano di innescare altre cadute e provocare una valanga sotto la quale rischiamo di soccombere. Se invece a rotolar verso il basso è un singolo pezzo di memoria, causato da una sollecitazione involontaria, allora la cosa è gestibile. Bisogna solo sperare che il brano di memoria riguardi qualche attimo felice del nostro passato e non quei momenti più o meno tragici che hanno segnato la vita della maggior parte di noi. In quel caso il ricordo rischia di riaprire vecchie piaghe e di rinnovare il dolore.

Mi è capitato, alcuni giorni fa, mentre ero seduto alla mia scrivania, di lasciar correre lo sguardo lungo i dorsi dei libri allineati negli scaffali della libreria. Consideravo che sono davvero tanti, accumulati in tanti anni, poco per volta ed oggi hanno invaso quasi ogni angolo di casa. Ma mentre gli occhi vagavano lungo quegli scaffali, d’improvviso si sono fermati su una piccola piramide di vetro azzurrino ed è scattato il meccanismo del ricordo. Su una delle facce della piramide una piccola etichetta dorata ed ora alquanto sbiadita recava la dicitura “Verrerie de Chantereine”.

Era quello il souvenir distribuito ai partecipanti ai corsi della Université du verre della Saint Gobain. Alla metà degli anni Settanta i corsi si tennero presso l’Usine de Chantereine, nell’Oise. L più antica delle fabbriche del gruppo, costruita nel XVIII secolo. A quei corsi fummo inviati a partecipare, dallo Stabilimento di Caserta  il mio collega Antonio ed io, giovani ingegneri, assunti da poco. La fabbrica era nei pressi della città di Compiegne e lì noi giungemmo, il pomeriggio del giorno prima dell’inizio dei corsi. Raggiungemmo, in taxi, il nostro albergo e rimanemmo meravigliati. L’hotel era in una villa risalente al XVIII secolo e sembrava che il tempo non l’avesse nemmeno sfiorata. Gli esterni erano apparentemente immutati. Ma l’interno era ancor più sorprendente, tutti gli arredi delle stanze sembravano originali. Ben tenuti ma vissuti. I legni levigati dall’uso ma ancora perfettamente integri. Nel bagno troneggiava al centro una vasca poggiante su dei piedi leonini. I soffitti avevano le travi di legno a vista ed erano altissimi. Il letto era provvisto di un baldacchino. Ci volle un po’ di tempo per metabolizzare la sorpresa di essere atterrati in un contesto fuori dal tempo.

Infine, dopo qualche ora, decidemmo di fare quattro passi in città dove ammirammo il Castello e la mairie, cioè il municipio, posta in un edificio risalente al XVII secolo anch’esso in perfette condizioni di conservazione. Al centro della facciata si levava una torre con l’orologio ed ai lati, poste negli angoli due torri più piccole.

Dopo aver passeggiato per un’oretta sedemmo ad uno dei tavoli di un bistrot, che, grazie al clima mite di quella primavera erano stati disposti all’esterno. Qualche minuto dopo una bella ragazza venne al tavolo per prendere le ordinazioni. Indecisi, nel nostro francese un po’ vacillante, chiedemmo di esporci cosa offrisse la casa. Ma il francese della ragazza era così rapido che afferrammo solo qualche brano di quel che ci diceva. La cosa che più mi colpì fu un accenno al gin tonìc, con l’accento sulla i dell’ultima sillaba, come usano sempre da quelle in Francia. Digiuni di qualunque nozione in fatto di beveraggi, poiché dalle nostre parti, nei bar si serviva qualche Vecchia Romagna, qualche Stock 84 o qualche bicchierino di vermouth o di anice, decidemmo di provare il brivido della bevanda sconosciuta ed io  i lanciai in un perfetto: “Deux gin-tonìc, s’il vous plait!”.

Ma quando la ragazza depose sul nostro tavolo i bicchieri ed assaggiammo ci rendemmo conto che quel misterioso gin-tonìc, altro non era che del gin allungato con acqua tonica. Sorridemmo e bevemmo lentamene.

Il gin, un liquore a gradazione piuttosto alta, assai diffuso nei paesi anglosassoni ed ottenuto dalla distillazione di cereali o patate in cui si pone a macerare una miscela di erbe, spezie, piante, bacche e radici, quelli che insomma sono definiti, con termine anglosassone: botanicals. Ciò che non può mancare sono i galbuli di ginepro che danno al liquore il suo profumo ed il suo sapore. Lo stesso nome del distillato deriva inoltre dal nome della pianta di ginepro.

Questo tipo di distillato cominciò a diffondersi nell’Olanda del XVII secolo e fu messo a punto da Franciscus Silvius, medico dell’Università di Leida come cura per i soldati olandesi che si ammalavano di febbri nelle Indie orientali, dove il paese aveva le sue colonie.

Dall’Olanda poi il liquore giunse in Inghilterra e la sua produzione raggiunse lì punte altissime, soprattutto dopo il divieto, posto da Guglielmo III d’Orange, sulla importazione di distillati dall’estero. Il divieto riguardava soprattutto l’ importazione del cognac prodotto dagli odiati francesi. Ma per sopperire alla mancanza di distillati stranieri la produzione di gin si impennò ed assorbì la totalità delle eccedenze di cereali destinate alla produzione di alcolici. Il gin divenne talmente importante da entrare  a far parte integrante del salario degli operai. La cosa ebbe un impatto negativo dal punto di vista sociale perché fece crescere il tasso di alcolismo presso le classi più povere e creò problemi di ordine pubblico e di sicurezza. Ad essi il governo cercò di porre un argine con la promulgazione del Gin Act, ma era ormai troppo tardi.

Il gin, oggi in Inghilterra si divide in Gin, Gin distillato, London gin, Spiriti aromatizzati al ginepro e le differenze tra i vari tipi stanno nel metodo di produzione.

Le radici di questa che sembrerebbe una storia essenzialmente nordica, affondano invece nel profondo sud dell’Europa e, precisamente  Salerno. Qui,  in seno alla Scuola Medica Salernitana, si appurò che il ginepro aveva diverse proprietà benefiche: era un ottimo digestivo, un antisettico naturale,  un rimedio contro la tosse, costituiva un sollievo allo stress ed alla depressione, era un antireumatico, un antisettico per la pelle e funzionava bene contro acne ed eczemi.

Presso la Scuola era stato approntato anche un  orto botanico in cui si coltivavano le piante che occorrevano alla farmacopea della stessa. Quell’antico orto botanico ha superato i secoli ed è giunto fino a noi, sotto forma di quelli che sono chiamati, oggi,  i Giardini della Minerva. Da essi, posti a mezza costa di una delle colline che cingono Salerno, si gode di un  panorama mozzafiato e, passeggiando lungo quei viali si ha l’impressione di andare a ritroso nel tempo e  tornare all’epoca in cui sotto quel cielo operavano personaggi come Garioponto, Matteo Silvatico, Trotula De Ruggiero, Matteo Plateario e tanti altri illustri medici dell’epoca.

Presso la scuola si condussero i primi esperimenti in cui l’alcol era distillato insieme a coccole di ginepro. Lo scopo non era, evidentemente quello di ottenere una bevanda ludica, ma di produrre una pozione che fosse facilmente trasportabile e che potesse essere usata durante tutto l’arco dell’anno. Furono così prodotti i primi gin o meglio i protogin per la cui produzione era stato messo a punto uno strumento nuovo: l’alambicco. Esso era costituito da una cucurbitacea, ossia una pentola in cui si ponevano a bollire i materiali da distillare. Sopra di esso era posto il duomo, in forma di una semisfera e dal duomo si dipartiva una serpentina raffreddata con acqua. Il materiale adoperato fu il rame che era un ottimo conduttore di calore.

 

 

 

Giuseppe Esposito