Intervista a Gianni Solla, finalista del premio letterario FLAIANO 2021

Estate 2012. Ho da poco finito di leggere “Il teatro di Sabbath” di Philip Roth. Cosa avrei potuto leggere dopo? In quale volume mi sarei immerso dopo quella lettura? Poiché senza libri non riesco proprio ad andare avanti, per deciderlo entro in un megastore vomerese che all’epoca aveva al secondo piano un’ampia libreria e mi dirigo nella sezione dedicata ai volumi ambientati a Napoli. In tutte le copertine le solite cose: il mare, il Vesuvio, i vicoli. Tutto sapeva di già visto e vecchio. Guardando meglio fra gli scaffali il mio occhio cade sull’unica copertina dove l’acqua rappresentata non è quella del golfo di Napoli, ma è quella di una vasca da bagno, piena fino all’orlo, dove si aggira un piccolo squalo. Uno squalo a Napoli?

È così che ho conosciuto la scrittura di Gianni Solla. Il libro in questione era il suo primo romanzo e si chiamava “IL FIUTO DELLO SQUALO” che resta uno tra i miei libri favoriti, uno di quei libri che rileggerei per tornare a stupirmi.

Il 2 marzo di quest’anno è uscito il suo nuovo romanzo “TEMPESTA MADRE” edito da Einaudi e le promesse lette tra le righe del suo primo romanzo non sono rimaste disattese: è tra i migliori libri letti quest’anno.

È la storia di Jacopo e della sua crescita vicino ad una madre “difficile”, è un racconto di formazione che non conosce mezzi termini perché si tratta di un rapporto madre/figlio complicato ma indissolubile. I personaggi del libro sono figure con le quali vorresti uscire, per conoscerle e per capire meglio quello che ti circonda attraverso uno sguardo diverso: Jacopo e la madre, ma anche tutti gli altri personaggi che fanno da contorno alla storia, non si dimenticano facilmente.

Jacopo è fragile e forte, drammatico e ironico, a tratti doloroso e pieno di una vitalità inattesa. Non è un supereroe, è uno di noi ed è per questo che ci si innamora delle sue naturali fragilità.

Ho avuto il piacere di conoscere personalmente l’autore al quale chiesi un ritratto per un mio progetto fotografico diversi anni fa (è la foto che introduce questo articolo), per cui in occasione di questa nuova uscita gli ho chiesto di concedermi una breve intervista per raccontarci di più sul suo lavoro e sulla genesi di “TEMPESTA MADRE”.

Ho finito da poco la lettura di “Tempesta Madre” e volevo sapere come nasce il personaggio di Jacopo, protagonista principale del romanzo. Jacopo viene da lontano, credo di avere lavorato a questa voce per molto tempo e di avergli dato un nome e un contesto solo negli ultimi anni. Mi piace perché ha gli strumenti per accedere al lato comico e tragico di ogni situazione e quindi mi ha dato molte possibilità. Era da molto che volevo scrivere di un elemento primo che per forza ti fa porre domande come può fare solo un genitore una volta che si è adulti. Un genitore è il posto dal quale proveniamo e lo confrontiamo con quello nel quale siamo. Una volta identificata la voce la voce di Jacopo, il romanzo è comparso in maniera naturale, come se lo avessi da sempre tra i fogli.

“Il fiuto dello squalo”, tuo penultimo romanzo è del 2012. “Tempesta Madre” (edizioni Einaudi) esce 9 anni dopo. Cosa è successo in questo periodo? Scrivo molto e ho sempre un progetto di scrittura in corso, ma quando finisco una storia mi dedico subito a quella successiva senza preoccuparmi troppo di cercare un editore o comunque di proporla. Mi interessa la scrittura molto più di tutto il resto. In questi anni ho scritto e portato in giro un reading di brevi componimenti, anche in quel caso sia comici che drammatici. Ho esplorato e devo molto a quel lavoro perché mi ha fatto stare a stretto contatto con il pubblico.

Jacopo e tutti i protagonisti dei tuoi testi, a mio avviso, hanno un tratto in comune: sono a disagio. O meglio, provano un disagio che mette in crisi il lettore perché non è chiaro se questo aspetto faccia parte del loro DNA, oppure sono in difficoltà perché non riescono a riconoscersi nel contesto in cui si trovano. È questo che ti interessa raccontare? Mi piacciono i perdenti, i fuori posto, gli infiltrati, insomma tutti quelli che hanno una mancanza e che la vedono chiaramente. Quella mancanza diventerà il loro portafortuna. Ho poi notato, durante la scrittura, che i personaggi tendono ad avvicinarsi in maniera naturale come se obbedissero a una misteriosa forza di attrazione e attraverso questa autonomia che acquisiscono si svelano con maggiore lucidità. Mi piace che ogni personaggio una volta formato, abbia in sé la capacità per determinare in maniera autonoma il proprio destino nel racconto.

Altro fattore che accomuna i tuoi lavori è il contesto: la periferia napoletana. Riesci ad immaginare un tuo testo ambientato fuori dal territorio della nostra regione oppure sono proprio quegli scenari che stimolano il tuo sguardo? Sì, potrei, non credo che per me sia vincolante scrivere nella periferia napoletana, seppure è il contesto per me più naturale perché è dove vivo e dove sono nato. La parte di infanzia di Tempesta madre è ambientata a San Giovanni a Teduccio dove però ho provato a spogliare il racconto del paradigma napoletano per continuare a esplorarne le possibilità senza rinchiudermi in una gabbia ideologica. Mi sono posto problemi borghesi in un contesto di edilizia popolare. Detesto gli stereotipi e le semplificazioni, le trovo delle scorciatoie, mentre scrivo per vedere le cose nella loro complessità.

Confesso che il finale di TEMPESTA MADRE mi ha molto sorpreso. Avendo letto i tuoi libri e i tuoi racconti non mi aspettavo questa evoluzione della storia. Ho immaginato che con la maturità cambi per ognuno di noi la visione su quello che ci accade. È una storia che racconta anche della tua crescita personale? In futuro i tuoi protagonisti saranno meno “a disagio”? La scrittura è la rappresentazione della mia persona al tempo corrente. Tempesta madre è stata una chiamata per me, legata a quello che mi è successo negli ultimi anni. Ho decostruito, mischiato le carte e raccontato gli eventi. In futuro non so ancora dove sarò e quindi non so ancora cosa scriverò.

Umberto Mancini