La Danimarca chiude agli immigrati

di Pierre De Filippo-

Quando si parla di immigrazione si tocca, inevitabilmente, un nervo più che scoperto: governi, organizzazioni non profit, cooperative, cittadini, tutti sono interessati e pronti a dare un giudizio, a prendere una posizione.

Il fenomeno è complicatissimo e delicatissimo e va maneggiato con cura. Dopo anni e anni di “crisi”, l’Unione Europea – o, per meglio dire, i Paesi europei – non è ancora riuscita a trovare una quadra che accontenti tutti. E sarà difficile che venga trovata anche in prospettiva perché troppo succulento è il tema per essere risolto una volta per tutte.

Faccio un esempio pratico, per evitare di restare nel vago. Autunno 2017: il Parlamento europeo chiede, attraverso una raccomandazione – atto, evidentemente, non vincolante – alla Commissione europea, che detiene il monopolio dell’iniziativa legislativa all’interno dell’ordinamento europeo, di predisporre un regolamento – dunque, un atto avente “forza di legge” – che superi il Trattato di Dublino e le sue regole.

Senza entrate troppo nel dettaglio, questo Trattato – che è ancora in vigore e vive e lotta insieme a noi – prevedeva che a farsi carico dell’identificazione, della eventuale domanda d’asilo e della gestione del migrante di turno fosse il primo Stato membro nel quale la persona era giunta.

Troppo facile, direte voi, per Svezia, Olanda, Danimarca: chi mai effettuerà il primo ingresso lì da loro? Nessuno.

E, quindi, la pressione ricade ovviamente sui Paesi mediterranei: Spagna, Italia, Malta e Grecia, in primis.

Cosa accade nel 2017? La Commissione dà seguito alla raccomandazione del Parlamento e predispone davvero un regolamento che superi Dublino e che avrebbe previsto una equa e obbligatoria redistribuzione dei rifugiati. Un piccolo passo verso la nostra direzione.

Il regolamento, a quel punto, dovrà passare per mano dei colegislatori: Parlamento, appunto, e Consiglio dell’UE – all’interno del quale siedono i ministri degli Stati membri.

In seno al Parlamento, che dovrebbe rappresentare e che effettivamente rappresenta l’anima più comunitaria dell’ordinamento – l’equivalente, se vogliamo dirla all’americana, del “we, the people”, con cui apre la loro Costituzione – partiti in quel momento all’opposizione e in rampa di lancio, come il M5S e la Lega, si astengono o votano contro.

Perché? Beh, loro all’epoca argomentarono varie motivazioni ma ce n’era una, non detta ma non per questo meno palese: perché non avrebbero voluto fornire a chi era al governo la possibilità di dire – a pochi mesi dalle elezioni politiche del 2018 – di aver “risolto” il problema migratorio.

È con questa miopia che noi conviviamo e che ci impedisce di capire che dovremmo spingere tutti nella stessa direzione per affrontare la questione con il giusto mix di determinazione e di saggezza.

Mi sono spinto in là nello spiegare il funzionamento delle istituzioni europee, fornendo dettagli aggiuntivi rispetto a quelli che sarebbero stati necessari e sufficienti a capire la questione, per far comprendere a chiunque legga quanto complesso possa essere un ordinamento giuridico, quanti diritti debba contemperare, a quante dinamiche debba prestare attenzione.

Veniamo ora alla questione di stretta attualità, che ben rappresenta l’approssimazione colpevole di cui abbiamo parlato fino ad ora: la Danimarca – che è guidata da socialdemocratici progressisti, almeno sulla carta – ha stabilito che nessun migrante, richiedente asilo, profugo, sfollato e via dicendo dovrà toccare “le sacre sponde” della penisola dello Jutland.

Come ci si è organizzati? Con accordi – ancora non ufficiali – con Paesi terzi (Egitto, Etiopia, Sudan, secondo i rumors), nei quali gli aspiranti migranti saranno confinati e dove presenteranno richiesta di asilo per la Danimarca.

Se la richiesta non dovesse essere approvata, i migranti verrebbero rimpatriati verso le proprie località di origine; se, invece, la richiesta dovesse essere approvata non arriverebbero mica in Danimarca, no! Si fermerebbero nel Paese terzo col quale la Danimarca ha stretto l’accordo.

Una sorta di “subappalto” dell’accoglienza, di illusione ottica per chi crede di arrivare nella ricca, prospera e pacificata Danimarca e, invece, si trova in Sudan.

Un po’ la differenza tra quando lo hai ordinato e quando ti arriva a casa…

Il punto è, però, più generale: la decisione della Danimarca si ripercuote per ovvie ragioni su tutto l’impianto di gestione dei flussi migratori europeo, perché può rappresentare un comodo ma effimero precedente. Immaginate che tutti i Paesi europei – o, per lo meno, la maggioranza – decidano di fare nella stessa maniera. Cosa succederebbe? Succederebbe che migliaia, centinaia di migliaia di persone si accalcherebbero negli Stessi stati creando una bomba sociale ancora più incandescente. L’Egitto, per dirne uno, vive ancora di contraddizioni: di povertà, diseguaglianza e corruzione; immaginate cosa accadrebbe se fosse chiamato anche a gestire una situazione come questa.

E, allora, che valutazione finale possiamo trarre: sicuramente che, per citare l’Amleto, “c’è del marcio in Danimarca”, perché giocare a fare quelli più furbi degli altri si paga sempre!

“Sky contrast: Red” by Ludovico Caldara is licensed under CC BY-NC-SA 2.0

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