Il colore della morte

-di Michele Bartolo-

Con il termine “morte bianca” ci si riferisce all’incidente mortale che si verifica sul posto di lavoro e l’aggettivo “bianca” allude all’assenza di una mano formalmente responsabile dell’accaduto.

Invero, secondo l’INAIL, nel primo trimestre del 2021 si sono verificati 185 infortuni mortali, 19 in più rispetto alle 166 denunce registrate nel primo trimestre del 2020.  Nelle ultime settimane, poi, si è tornato a parlare prepotentemente del problema in occasione di una serie di eventi avvenuti nel giro di pochi giorni: mi riferisco al drammatico caso della morte di Luana D’Orazio, da poco mamma, deceduta a soli 22 anni perché risucchiata in una pressa, mentre lavorava in una azienda tessile di Montemurlo, in provincia di Prato, al cedimento della trave nel deposito Amazon di Alessandria, con un bilancio di  un morto e cinque feriti, al decesso di Christian Martinelli, che a 49 anni ha perso la vita in un incidente nell’azienda di estrusione di materie plastiche di Busto Arsizio, dove lavorava.

Anche a Salerno purtroppo, si è da poco registrato un tragico caso di morte bianca, la triste fine del giovanissimo Matteo Leone che, a soli trentacinque anni, dopo aver sconfitto leucemia e covid, è stato schiacciato da un carrello elevatore nel porto di Salerno, mentre lavorava.

Vite invisibili, vite dimenticate.

Nel nostro Paese una media di due lavoratori al giorno non fa ritorno a casa e “morire di lavoro” vuole essere un monito ininterrotto rivolto ad istituzioni e politica fino a quando avrà termine quello che è stato definito “un crimine di pace”.

Le persone che muoiono, tante, non sono dei numeri, anche se di fatto finiscono nella fredda ed asettica statistica quotidiana delle morti sul lavoro. D’altronde, è il caso di sottolineare che queste tragedie non solo producono morti ma rovinano famiglie intere e rendono tanti giovani orfani e soli.

Cosa fare allora per fermare questa mattanza quotidiana? Le norme sulla sicurezza sul lavoro  esistono da diversi decenni, le sanzioni per chi non rispetta la normativa sono pesanti, eppure gli incidenti mortali continuano a verificarsi. Probabilmente l’errore è a monte, nello strutturare la normativa sulla sicurezza in una ottica sanzionatoria piuttosto che in una direzione preventiva. Difatti, quando in uno Stato prevale la repressione sulla prevenzione, c’è qualcosa che non funziona, vuol dire che il fenomeno non si riesce a controllare e, alla fine, i soggetti più indifesi ne pagano le conseguenze.

Prevenzione, dicevamo, quindi investire su strumenti idonei a prevenire in ogni realtà lavorativa. A titolo esemplificativo, lo Stato ha le sedi, ha il personale qualificato per impartire lezioni teoriche di sicurezza sul lavoro, supportate da esercitazioni pratiche (Ispettori del Ministero del Lavoro, ispettori Inail, Ispettori INPS, Ispettori di aziende sanitarie locali), così come ha, tramite l’Agenzia delle Entrate e il Registro delle Imprese, l’anagrafe di tutte le aziende italiane, per codici di attività e per settore merceologico, fonti utili e necessarie per classificare e selezionare i corsi di formazione.

Nella realtà, invece, i corsi sulla sicurezza sul lavoro sono gestiti dalle associazioni di categoria datoriali e senza alcun controllo sulla frequenza dei partecipanti. Si aggiunga, poi, che la stragrande maggioranza delle aziende è rappresentata da microimprese (artigiani e piccoli commercianti) che, sulla questione sicurezza, sono totalmente abbandonate dallo Stato. Bisogna guardare in faccia alla realtà: questi terribili fatti nascono sempre da situazioni in cui il datore di lavoro, i sindacati, i lavoratori stessi non riescono a fermarsi un attimo e migliorare la sicurezza delle persone che lavorano.

La sicurezza è ingiustamente considerata come puro costo e, soprattutto in determinate Nazioni, il costo del lavoro bassissimo è dato proprio dalla sicurezza inesistente. Ci vuole la convinzione  e la collaborazioni di tutti i soggetti coinvolti, ciascuno nel proprio ruolo: le misure di sicurezza devono essere rispettate ed applicate dai lavoratori, che non devono vederle come un fastidio ma, al tempo stesso, non può prevalere il ricatto di tenersi il posto di lavoro a tutti i costi.

Il bollettino è drammatico perché ancora non esiste una reale cultura della sicurezza, la prevenzione viene vista ancora come un costo e non come un investimento. Operare in tale ottica, invece, è fondamentale per favorire una significativa riduzione del costo umano, sociale ed economico che gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali hanno per i singoli lavoratori, per le imprese e per il sistema produttivo del Paese. Mai più morti bianche, quindi, il bianco non diventi il colore della resa.

Anzi, come dice Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza a Firenze, smettiamola di usare l’aggettivo bianco accostato a quelle morti: –non c’è nulla di bianco o candido in una morte sul lavoro. Sono solo tragedie inaccettabili-.

“Morti sul lavoro / Bocconi” by antonello_mangano is licensed under CC BY-NC-SA 2.0

                                         

Michele Bartolo

Avvocato civilista dall'anno 2000, con patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 2013, ha svolto anche incarichi di curatore fallimentare, custode giudiziario, difensore di curatele e di società a partecipazione pubblica. Interessato al cinema, al teatro ed alla politica, è appassionato di viaggi e fotografia. Ama guardare il mondo con la lente dell'ironia perché, come diceva Chaplin, la vita è una commedia per quelli che pensano.

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